IL FATTORE EL ALAMEIN
I paracadutisti della Folgore in azione in Afganistan
di Walter Amatobene
Ho seguito tempo fa una conferenza all’Accademia militare di Modena dal titolo “Il fattore El Alamein”. Relatore un Ufficiale dei paracadutisti in congedo, ora professore Filosofia del diritto all’università di Trento, Maurizio Manzin, studio della storia della Folgore. Parlava ai Cadetti futuri comandanti dell’ Esercito di quella inspiegabile forza interiore –tutt’ora oggetto di studio anche in alcune accademie militari occidentali tra cui West point- che caratterizzava la Folgore sul campo di battaglia, nonostante fosse falcidiata dalla sete, dal tifo, dal nemico e dalla fatica sovrumana di giorni interi senza dormire. Un DNA forte, il loro. Questo ineffabile “fattore El Alamein” è arrivato fino all’Afganistan. Ne sono stato testimone diretto. Per una settimana ho voluto dimenticare di essere stato uno di loro, passando alcuni giorni nei loro fortini con l’occhio malizioso e con la frase sempre pronta in fondina: “ai miei tempi si, che le cose andavano meglio”. Mi sono ricreduto fin dalle prime ore e fino all’ultimo giorno. Mi viene in mente una frase del loro Comandante di Brigata: “sarò all’altezza dei miei uomini? ”. Parlando ai giornalisti, si riferiva alla capacità tecnico-militare, alla reattività, allo spirito di servizio e di sacrificio, alla selettività ed equilibirio delle risposte alle minacce -che non hanno mai provocato morti tra i civili-. I suoi paracadutisti sono sotto attacco fin dal primo giorno di missione (di calendario). Non tutti gli episodi li abbiamo letti sui giornali, tanto erano frequenti. Ho sentito casualmente la registrazione di una conversazione di un capo pattuglia –giovane maresciallo- mentre coordinava la risposta dei suoi uomini ad un violento attacco di RPG e armi leggere: se ne deducono una grande lucidità e capacità di comando. L’attacco è stato sventato e il contrattacco ha neutralizzato la minaccia, senza feriti tra i nostri. Erano talmente vicini che in alcuni casi hanno usato le pistole e le bombe a mano per respingerli. Poi hanno continuato la pattuglia, dimostrando di non avere paura di un nuovo incontro ravvicinato con gli insorgenti. In passato sarebbe stato ordinato il ripiegamento e il rientro alla base. Con loro in azione si può chiedere di andare avanti. I paracadutisti, addestrati da sempre a lavorare in piccoli nuclei in aree con presenze ostili, sono stati la risposta migliore alla progressiva sottrazione del territorio da parte delle forze contrarie alla pacificazione. A Bala Murghab, ad esempio, il 183mo Reggimento “Nembo” della Folgore al suo arrivo ha trovato i talebani a poche centinaia di metri dalla base, con tanto di bandiera con versetti del corano issata per sfida e i cecchini al lavoro, giorno e notte. Dopo aspri combattimenti e accordi con i capi villaggio, la popolazione di quell’area può contare su una relativa tranquillità e ha potuto votare. Nei fortini ho visto condizioni operative ai limiti della sopportazione, tra caldo asfissiante a cinquanta gradi, polvere dappertutto, turni di pattuglia 24 ore al giorno, strade costellate di ordigni improvvisati e la presenza inquietante del “nemico” a pochi metri. Per non parlare dei comfort quasi inesistenti, a parte qualche moka elettrica e l’iniziativa di qualche paracadutista che ha creato piccole piazzette di ritrovo, ombreggiate da paracadute in disuso. Ragazzi che da 160 giorni sopportano quelle condizioni di vita con serenità, motivazione e capacità professionale. A fine luglio si sono costruiti, dal pavimento fino al tetto, una postazione internet, con l’arrivo del collegamento satellitare. C’è chi si è spaccato le mani per farlo. Letteralmente. Così come quelli che hanno scavato l’argilloso terreno del campo a colpi di pala, piccone e sudore per costruire le canalizzazioni dell’acqua e delle fogne. Ho assistito all’arrivo di una colonna di rinforzo per le elezioni, dopo tre giorni di viaggio con attacchi e imboscate. Prima di ogni altra cosa i paracadutisti del 186mo reggimento, di rinforzo al 183mo, hanno issato le bandiere delle compagnie. Comportamenti che indicano un attaccamento alla Folgore senza il quale i risultati non sarebbero così brillanti. Stanchi, impolverati e bersagliati da un sole impietoso, erano un'unica squadra. Non scrivo allegra, perché potreste pensare a esaltati, ma per un paracadutista, più le condizioni operative sono difficili e meglio viene fuori il lungo e selettivo addestramento avuto in Patria. E serve ancora una volta il fattore El Alamein per spiegare il comportamento di quei feriti che hanno rifiutato di rientrare in patria per una comoda convalescenza. Mi ha colpito la serenità e la semplicità con cui mi spiegavano il motivo: “qui ci sono i miei colleghi, i miei fratelli. Non posso lascarli soli”. Già , semplice a dirlo, ma rinunciare a un rientro a casa dopo mesi in quelle condizioni, non è facile. E che dire di quei feriti più gravi, che sulla rampa del C130j che li ha riportati in patria, chiedevano di rientrare in Afganistan? Ricordate tutti l’urlo “FOLGORE” del guastatore paracadutista con problemi alla colonna vertebrale, dopo essere saltato su un ordigno a Farah, sede di un altro fortino sotto tiro. Ha salutato così il picchetto dei colleghi a Ciampino. Mentre scrivo, mi giunge notizia della sua ennesima richiesta di rientrare in servizio al più presto, ripetuta al Ministro Larussa durante una sua visita al Celio dov’è ricoverato. Una capo squadra mortai del 183mo reggimento, atletica e sorridente, mi ha detto :“non vado in licenza proprio adesso che c’è tanto lavoro”. Si riferiva agli attacchi notturni e alle elezioni imminenti che richiedevano uno sforzo aggiuntivo. Il suo plotone si è distinto per i centri al primo e secondo colpo sui bersagli indicati dai colleghi del 185° Reggimento acquisizione obbiettivi . I paracadutisti del suo plotone non hanno voluto scattare la foto di gruppo senza di Lei. Segno che si è guadagnata il loro rispetto non solo formale. Altro ingrediente del fattore El Alamein:una regola non scritta dice che i paracadutisti “stimano” il grado se è portato da chi se lo guadagna sul campo. E chiedono l’esempio. Gli ufficiali e sottufficiali educano i loro uomini. Gli Uomini educano i loro Ufficiali e sottufficiali. Regola non scritta. Devo continuare? No: il mio spazio dedicato alla Folgore su queste pagine, è terminato. Ma non nel mio cuore, e da oggi, spero lo stesso per Voi.
UN GIORNO DA PARA'
I paracadutisti della Folgore in azione in Afganistan
Ho seguito tempo fa una conferenza all’Accademia militare di Modena dal titolo “Il fattore El Alamein”. Relatore un Ufficiale dei paracadutisti in congedo, ora professore Filosofia del diritto all’università di Trento, Maurizio Manzin, studio della storia della Folgore. Parlava ai Cadetti futuri comandanti dell’ Esercito di quella inspiegabile forza interiore –tutt’ora oggetto di studio anche in alcune accademie militari occidentali tra cui West point- che caratterizzava la Folgore sul campo di battaglia, nonostante fosse falcidiata dalla sete, dal tifo, dal nemico e dalla fatica sovrumana di giorni interi senza dormire. Un DNA forte, il loro. Questo ineffabile “fattore El Alamein” è arrivato fino all’Afganistan. Ne sono stato testimone diretto. Per una settimana ho voluto dimenticare di essere stato uno di loro, passando alcuni giorni nei loro fortini con l’occhio malizioso e con la frase sempre pronta in fondina: “ai miei tempi si, che le cose andavano meglio”. Mi sono ricreduto fin dalle prime ore e fino all’ultimo giorno. Mi viene in mente una frase del loro Comandante di Brigata: “sarò all’altezza dei miei uomini? ”. Parlando ai giornalisti, si riferiva alla capacità tecnico-militare, alla reattività, allo spirito di servizio e di sacrificio, alla selettività ed equilibirio delle risposte alle minacce -che non hanno mai provocato morti tra i civili-. I suoi paracadutisti sono sotto attacco fin dal primo giorno di missione (di calendario). Non tutti gli episodi li abbiamo letti sui giornali, tanto erano frequenti. Ho sentito casualmente la registrazione di una conversazione di un capo pattuglia –giovane maresciallo- mentre coordinava la risposta dei suoi uomini ad un violento attacco di RPG e armi leggere: se ne deducono una grande lucidità e capacità di comando. L’attacco è stato sventato e il contrattacco ha neutralizzato la minaccia, senza feriti tra i nostri. Erano talmente vicini che in alcuni casi hanno usato le pistole e le bombe a mano per respingerli. Poi hanno continuato la pattuglia, dimostrando di non avere paura di un nuovo incontro ravvicinato con gli insorgenti. In passato sarebbe stato ordinato il ripiegamento e il rientro alla base. Con loro in azione si può chiedere di andare avanti. I paracadutisti, addestrati da sempre a lavorare in piccoli nuclei in aree con presenze ostili, sono stati la risposta migliore alla progressiva sottrazione del territorio da parte delle forze contrarie alla pacificazione. A Bala Murghab, ad esempio, il 183mo Reggimento “Nembo” della Folgore al suo arrivo ha trovato i talebani a poche centinaia di metri dalla base, con tanto di bandiera con versetti del corano issata per sfida e i cecchini al lavoro, giorno e notte. Dopo aspri combattimenti e accordi con i capi villaggio, la popolazione di quell’area può contare su una relativa tranquillità e ha potuto votare. Nei fortini ho visto condizioni operative ai limiti della sopportazione, tra caldo asfissiante a cinquanta gradi, polvere dappertutto, turni di pattuglia 24 ore al giorno, strade costellate di ordigni improvvisati e la presenza inquietante del “nemico” a pochi metri. Per non parlare dei comfort quasi inesistenti, a parte qualche moka elettrica e l’iniziativa di qualche paracadutista che ha creato piccole piazzette di ritrovo, ombreggiate da paracadute in disuso. Ragazzi che da 160 giorni sopportano quelle condizioni di vita con serenità, motivazione e capacità professionale. A fine luglio si sono costruiti, dal pavimento fino al tetto, una postazione internet, con l’arrivo del collegamento satellitare. C’è chi si è spaccato le mani per farlo. Letteralmente. Così come quelli che hanno scavato l’argilloso terreno del campo a colpi di pala, piccone e sudore per costruire le canalizzazioni dell’acqua e delle fogne. Ho assistito all’arrivo di una colonna di rinforzo per le elezioni, dopo tre giorni di viaggio con attacchi e imboscate. Prima di ogni altra cosa i paracadutisti del 186mo reggimento, di rinforzo al 183mo, hanno issato le bandiere delle compagnie. Comportamenti che indicano un attaccamento alla Folgore senza il quale i risultati non sarebbero così brillanti. Stanchi, impolverati e bersagliati da un sole impietoso, erano un'unica squadra. Non scrivo allegra, perché potreste pensare a esaltati, ma per un paracadutista, più le condizioni operative sono difficili e meglio viene fuori il lungo e selettivo addestramento avuto in Patria. E serve ancora una volta il fattore El Alamein per spiegare il comportamento di quei feriti che hanno rifiutato di rientrare in patria per una comoda convalescenza. Mi ha colpito la serenità e la semplicità con cui mi spiegavano il motivo: “qui ci sono i miei colleghi, i miei fratelli. Non posso lascarli soli”. Già , semplice a dirlo, ma rinunciare a un rientro a casa dopo mesi in quelle condizioni, non è facile. E che dire di quei feriti più gravi, che sulla rampa del C130j che li ha riportati in patria, chiedevano di rientrare in Afganistan? Ricordate tutti l’urlo “FOLGORE” del guastatore paracadutista con problemi alla colonna vertebrale, dopo essere saltato su un ordigno a Farah, sede di un altro fortino sotto tiro. Ha salutato così il picchetto dei colleghi a Ciampino. Mentre scrivo, mi giunge notizia della sua ennesima richiesta di rientrare in servizio al più presto, ripetuta al Ministro Larussa durante una sua visita al Celio dov’è ricoverato. Una capo squadra mortai del 183mo reggimento, atletica e sorridente, mi ha detto :“non vado in licenza proprio adesso che c’è tanto lavoro”. Si riferiva agli attacchi notturni e alle elezioni imminenti che richiedevano uno sforzo aggiuntivo. Il suo plotone si è distinto per i centri al primo e secondo colpo sui bersagli indicati dai colleghi del 185° Reggimento acquisizione obbiettivi . I paracadutisti del suo plotone non hanno voluto scattare la foto di gruppo senza di Lei. Segno che si è guadagnata il loro rispetto non solo formale. Altro ingrediente del fattore El Alamein:una regola non scritta dice che i paracadutisti “stimano” il grado se è portato da chi se lo guadagna sul campo. E chiedono l’esempio. Gli ufficiali e sottufficiali educano i loro uomini. Gli Uomini educano i loro Ufficiali e sottufficiali. Regola non scritta. Devo continuare? No: il mio spazio dedicato alla Folgore su queste pagine, è terminato. Ma non nel mio cuore, e da oggi, spero lo stesso per Voi.
Ore 6.30: sveglia
"Sveglia, porco d... (bestemmia)! Sveglia, d... porco (bestemmia)! Giù dalle brande, cani morti!", urla a squarciagola il caporale di giornata mentre corre come un forsennato per le camerate. Sul sottofondo musicale di "Smells like teen spirit" dei Nirvana. Sono quasi congelato: non riesco ancora ad abituarmi a dormire con le finestre aperte. Dicono che così diventeremo più massicci ... ma siamo nel mese di febbraio, e Siena non è certo una delle città più calde d'Italia. Mi accendo la prima sigaretta della giornata. Mi alzo e mi avvio verso il bagno. Ho 15 minuti per lavarmi, sbarbarmi e vestirmi prima di andare a fare la corsa e la ginnastica con tutti gli altri. Mi guardo allo specchio. Non mi farò crescere il pizzetto quando diventerò anziano. Sembro già abbastanza brutto e cattivo così. Il mio "taglio tattico" per ora può bastare.
Mentre corro accendo la seconda sigaretta della giornata.
Ore 7.15-7.45: colazione
Gli altri sono andati a fare colazione. Sono rimasto in cameretta con tutto il resto della squadra a cui appartengo. Visto che potevamo scegliere abbiamo preferito approfittare di questo lasso di tempo per mettere a posto la roba per il lancio di domani. Dobbiamo essere perfetti, la settimana prossima tre di noi devono andare in licenza: non possiamo rischiare alcuna punizione1. Se sbaglia uno pagano tutti. Mentre preparo lo zaino penso al lancio di domani: ho dei brutti presentimenti. Forse, però, è normale paura. Faccio finta di niente e continuo i miei preparativi mentre Lazzaro, il caporale che comanda la squadra NBC - quella di cui faccio parte - fa pompare e picchia gli ultimi due arrivati in squadra. Dice che vuole farne due veri paracadutisti, "massicci e incazzati". Oggi per loro è un grande giorno, questo pomeriggio ci sarà la loro iniziazione.
Gli altri sono andati a fare colazione. Sono rimasto in cameretta con tutto il resto della squadra a cui appartengo. Visto che potevamo scegliere abbiamo preferito approfittare di questo lasso di tempo per mettere a posto la roba per il lancio di domani. Dobbiamo essere perfetti, la settimana prossima tre di noi devono andare in licenza: non possiamo rischiare alcuna punizione1. Se sbaglia uno pagano tutti. Mentre preparo lo zaino penso al lancio di domani: ho dei brutti presentimenti. Forse, però, è normale paura. Faccio finta di niente e continuo i miei preparativi mentre Lazzaro, il caporale che comanda la squadra NBC - quella di cui faccio parte - fa pompare e picchia gli ultimi due arrivati in squadra. Dice che vuole farne due veri paracadutisti, "massicci e incazzati". Oggi per loro è un grande giorno, questo pomeriggio ci sarà la loro iniziazione.
Ore 8.00-9.30: alzabandiera
Parte il rituale fascista di ogni giorno. Inno nazionale cantato obbligatoriamente a squarciagola, alzabandiera, recitazione a memoria della motivazione della decorazione conferita alla bandiera di guerra del 186 Reggimento Paracadutisti Folgore, discorso del comandante del reggimento (il suo nome era Enrico Celentano), come sempre nostalgico e inneggiante ai "tempi che furono" (a questo proposito voglio ricordare il tatuaggio sul petto del comandante della mia compagnia: la testa del duce. Non erano rare neppure le svastiche tatuate sulle braccia dei paracadutisti). Ma oggi sta succedendo qualcosa di particolare. Il comandante di reggimento blocca la usuale numerazione delle file che si fa per preparare lo schieramento per la lezione di autodifesa. Qualcosa è andato storto. È il caporale Gattullo, uno dei prossimi al congedo, che ha numerato la propria fila in modo non corretto. Ha alzato il braccio con mano a paletta ma messa di taglio. Mentre il comandante di reggimento, si sa, vuole la mano a paletta con palmo rivolto verso l'esterno come un vero saluto fascista. Il comandante di reggimento lo invita a raggiungerlo nel suo ufficio alla fine dell'alzabandiera. Sappiamo tutti che la punizione sarà esemplare e ben camuffata come trasgressione di altre regole. Il rituale dell'alzabandiera finisce ed io accendo una sigaretta.
Parte il rituale fascista di ogni giorno. Inno nazionale cantato obbligatoriamente a squarciagola, alzabandiera, recitazione a memoria della motivazione della decorazione conferita alla bandiera di guerra del 186 Reggimento Paracadutisti Folgore, discorso del comandante del reggimento (il suo nome era Enrico Celentano), come sempre nostalgico e inneggiante ai "tempi che furono" (a questo proposito voglio ricordare il tatuaggio sul petto del comandante della mia compagnia: la testa del duce. Non erano rare neppure le svastiche tatuate sulle braccia dei paracadutisti). Ma oggi sta succedendo qualcosa di particolare. Il comandante di reggimento blocca la usuale numerazione delle file che si fa per preparare lo schieramento per la lezione di autodifesa. Qualcosa è andato storto. È il caporale Gattullo, uno dei prossimi al congedo, che ha numerato la propria fila in modo non corretto. Ha alzato il braccio con mano a paletta ma messa di taglio. Mentre il comandante di reggimento, si sa, vuole la mano a paletta con palmo rivolto verso l'esterno come un vero saluto fascista. Il comandante di reggimento lo invita a raggiungerlo nel suo ufficio alla fine dell'alzabandiera. Sappiamo tutti che la punizione sarà esemplare e ben camuffata come trasgressione di altre regole. Il rituale dell'alzabandiera finisce ed io accendo una sigaretta.
Ore 9.30-11.45: attività addestrativa
La mattinata addestrativa inizia con la solita corsa di sei chilometri in giro per Siena. Poi un'ora di palestra: pesi e autodifesa. Gli ultimi arrivati sembrano abbastanza in forma. Marco è un romano di 19 anni che faceva il meccanico d'auto prima di partire per il servizio di leva. Ha forse qualche chilo di troppo ma si muove bene e sembra sopportare altrettanto bene la fatica. Nevio è di Belluno. Ha 20 anni e faceva il buttafuori nelle discoteche. Ha un fisico asciutto e roccioso. Non è molto alto, ma si vede subito che darà delle belle soddisfazioni alla nostra squadra. Stamattina dopo che Lazzaro lo ha fatto pompare è andato subito allo specchio per guardare con orgoglio i lividi che il suo anziano gli aveva fatto a calci sulla schiena.
La mattinata addestrativa inizia con la solita corsa di sei chilometri in giro per Siena. Poi un'ora di palestra: pesi e autodifesa. Gli ultimi arrivati sembrano abbastanza in forma. Marco è un romano di 19 anni che faceva il meccanico d'auto prima di partire per il servizio di leva. Ha forse qualche chilo di troppo ma si muove bene e sembra sopportare altrettanto bene la fatica. Nevio è di Belluno. Ha 20 anni e faceva il buttafuori nelle discoteche. Ha un fisico asciutto e roccioso. Non è molto alto, ma si vede subito che darà delle belle soddisfazioni alla nostra squadra. Stamattina dopo che Lazzaro lo ha fatto pompare è andato subito allo specchio per guardare con orgoglio i lividi che il suo anziano gli aveva fatto a calci sulla schiena.
Ore 12.00: pranzo
Il caporale di giornata dopo avere inquadrato la compagnia ci porta marciando al refettorio. Il canto di oggi è "Come folgore dal cielo". Arrivati a una ventina di metri dalla porta del refettorio ci ritroviamo di fianco all'Undicesima Peste anch'essa in marcia. Nella manovra di avvicinamento ce la troviamo di fronte e nessuno dei due caporali di giornata che guidano le rispettive compagnie accenna a cambiare direzione. Ci incrociamo ed è lo scontro. Volano calci e pugni. Si sa, nessuno può passare impunemente tra i ranghi di una compagnia in marcia. E tutti sappiamo di non rischiare alcuna punizione per quello che sta accadendo. I quadri dei paracadutisti guardano con benevolenza questi sfoghi, anche violenti, simbolo manifesto di un sano spirito competitivo tra le diverse compagnie.
Entro al refettorio con Lazzaro e lui mi invita a sedermi al tavolo degli anziani. Non mi sarebbe permesso ma lui è uno di quelli appena tornati dalla Somalia ed è molto rispettato. Siedo al tavolo con Lazzaro e gli altri "somali", interessato ai loro racconti da "reduci". Di fronte a me c'è il paracadutista Chitarrini. È piccolo, tozzo e ha lo sguardo cattivo. Si dice che sia stato uno di quelli che ha ucciso di più in Somalia. Lazzaro inizia a raccontare dei pattugliamenti notturni fatti dalla squadra NBC in Somalia. Racconta della sensazione di paura che aveva prima di uscire dall'accampamento e di come quella sensazione gli scomparisse per incanto dopo avere inserito il colpo in canna al suo SCP 70/902 e avere acceso lo spinello di rito (nonostante il regolamento sia severissimo contro chi fa uso di droghe, anche leggere, durante le missioni all'estero c'è un forte permissivismo per l'uso di hashish e maryuana, sostanze notoriamente disinibenti). Racconta che quando dovevano posteggiare l'RVM per l'appostamento in una zona buia, prima sparavano per "fare pulizia", poi andavano ad appostarsi.
Tutti al tavolo hanno sguardi eccitati e orgogliosi nel raccontare le proprie esperienze somale. Tutti meno uno. Lazzaro sembra assente, nel vuoto di uno sguardo profondamente triste. Forse inizio a capirlo. Forse inizio a capire il perché di quei continui incubi che lo portano a lamentarsi quasi tutte le notti da quando è tornato dalla Somalia.
Finito il pranzo usciamo mestamente dal refettorio, ognuno diretto verso la propria compagnia. Mi accendo una sigaretta.
Ore 13.30-16.30: attività addestrativa
Ci sediamo per terra e iniziamo il controllo del materiale che domani dovremo portare al lancio e poi in pattuglia. Lazzaro nel mentre dà il via alla "iniziazione" dei due allievi ultimi arrivati. Dopo avergli fatto indossare la tuta ignifuga e la maschera NBC 583, ordina ai due di iniziare a correre attorno al perimetro del campetto. È una prova dura che finirà solo quando Lazzaro sarà soddisfatto. Dopo trenta minuti circa Claudio inizia a barcollare. Le lenti della sua maschera sono completamente appannate. Lazzaro da loro l'ordine di pompare, e i due si gettano a terra con le ultime forze rimaste. Iniziano il rituale della pompata con Lazzaro sempre pronto a picchiare con violenti calci chi prova a fermarsi. Continuano così per altri venti minuti circa. Poi Lazzaro dà il "ritto". I due si tolgono la maschera e si sdraiano per terra stremati. Hanno superato la prova dell'iniziazione nella squadra NBC. Diventeranno dei paracadutisti massicci. Dopo avere controllato per l'ultima volta il materiale, facciamo una pompata di gruppo di circa mezz'ora. Il morale è alto ma abbiamo bisogno di caricarci un altro po'. Domani c'è il lancio e siamo in molti ad avere paura. All'ultimo lancio di gennaio c'è stato un morto oltre a diversi infortuni.
Ci sediamo per terra e iniziamo il controllo del materiale che domani dovremo portare al lancio e poi in pattuglia. Lazzaro nel mentre dà il via alla "iniziazione" dei due allievi ultimi arrivati. Dopo avergli fatto indossare la tuta ignifuga e la maschera NBC 583, ordina ai due di iniziare a correre attorno al perimetro del campetto. È una prova dura che finirà solo quando Lazzaro sarà soddisfatto. Dopo trenta minuti circa Claudio inizia a barcollare. Le lenti della sua maschera sono completamente appannate. Lazzaro da loro l'ordine di pompare, e i due si gettano a terra con le ultime forze rimaste. Iniziano il rituale della pompata con Lazzaro sempre pronto a picchiare con violenti calci chi prova a fermarsi. Continuano così per altri venti minuti circa. Poi Lazzaro dà il "ritto". I due si tolgono la maschera e si sdraiano per terra stremati. Hanno superato la prova dell'iniziazione nella squadra NBC. Diventeranno dei paracadutisti massicci. Dopo avere controllato per l'ultima volta il materiale, facciamo una pompata di gruppo di circa mezz'ora. Il morale è alto ma abbiamo bisogno di caricarci un altro po'. Domani c'è il lancio e siamo in molti ad avere paura. All'ultimo lancio di gennaio c'è stato un morto oltre a diversi infortuni.
Ore 17-18: preparativi prima della "libera uscita"
Dopo una rapida doccia, mi vesto e "faccio" la branda per la notte. Dormo nella branda di sopra. Sotto di me c'è il paracadutista Casetti. È pensieroso come sempre. Ricordo il giorno in cui, disperato perché gli avevano "tagliato" la licenza per andare a casa, decise di rompersi il dito di un piede. Ricordo il suo sguardo determinato. Iniziò a dare calci all'armadietto di ferro finché il dolore non fu così forte che dovette fermarsi dopo un urlo liberatorio. Si ruppe l'alluce del piede destro. Fu così che poté andare a casa in convalescenza. Da quando è tornato però è sempre più triste. Gli chiedo se ha da prestarmi qualche "porno". "La caduta" e "Lo straniero" di Camus, "La morte nell'anima" e "La nausea" di Sartre sono ormai dimenticati nei meandri più profondi del mio armadietto e della mia mente, sommersi dai vestiti e dalla mia rabbia. Oggi anelo di leggere fumetti porno come "Corna vissute" e "Il camionista". Ho bisogno di ridere senza pensare. Voglio ridere di me e di quello che sto vivendo.
Ho mezz'ora di tempo prima della libera uscita. Decido di andare a rapporto dal capitano Ducito, comandante della compagnia Sorci Verdi per chiedergli una licenza. Sono più di due mesi che non vado a casa. Il comandante Ducito, detto il "Dux" per le sue manifeste idee politiche e per il fatto che porta la testa di Benito tatuata sul petto, è un uomo di quaranta anni che vive in caserma con la moglie e il figlio di cinque anni. Il "Dux" è palermitano come me. Ricordo quella volta che montavo di guardia alla polveriera a pochi metri dalla sua abitazione. Erano le sei del pomeriggio e il bambino girava spensierato con la sua biciclettina nel piccolo spiazzo davanti casa. Ad un tratto vidi il bambino perdere il controllo del piccolo mezzo e cadere sull'asfalto della caserma. Iniziò il pianto di dolore. La porta di casa si aprì e il "Dux" corse in pantofole in soccorso del figlioletto, ma le sue parole nei confronti del figlioletto ferito non erano di comprensione e di conforto per ciò che era appena accaduto. Il "Dux" gridava al figlio che non doveva piangere perché altrimenti non sarebbe mai diventato un vero paracadutista. "Un vero paracadutista sopporta il dolore in silenzio", urlava.
Dopo una rapida doccia, mi vesto e "faccio" la branda per la notte. Dormo nella branda di sopra. Sotto di me c'è il paracadutista Casetti. È pensieroso come sempre. Ricordo il giorno in cui, disperato perché gli avevano "tagliato" la licenza per andare a casa, decise di rompersi il dito di un piede. Ricordo il suo sguardo determinato. Iniziò a dare calci all'armadietto di ferro finché il dolore non fu così forte che dovette fermarsi dopo un urlo liberatorio. Si ruppe l'alluce del piede destro. Fu così che poté andare a casa in convalescenza. Da quando è tornato però è sempre più triste. Gli chiedo se ha da prestarmi qualche "porno". "La caduta" e "Lo straniero" di Camus, "La morte nell'anima" e "La nausea" di Sartre sono ormai dimenticati nei meandri più profondi del mio armadietto e della mia mente, sommersi dai vestiti e dalla mia rabbia. Oggi anelo di leggere fumetti porno come "Corna vissute" e "Il camionista". Ho bisogno di ridere senza pensare. Voglio ridere di me e di quello che sto vivendo.
Ho mezz'ora di tempo prima della libera uscita. Decido di andare a rapporto dal capitano Ducito, comandante della compagnia Sorci Verdi per chiedergli una licenza. Sono più di due mesi che non vado a casa. Il comandante Ducito, detto il "Dux" per le sue manifeste idee politiche e per il fatto che porta la testa di Benito tatuata sul petto, è un uomo di quaranta anni che vive in caserma con la moglie e il figlio di cinque anni. Il "Dux" è palermitano come me. Ricordo quella volta che montavo di guardia alla polveriera a pochi metri dalla sua abitazione. Erano le sei del pomeriggio e il bambino girava spensierato con la sua biciclettina nel piccolo spiazzo davanti casa. Ad un tratto vidi il bambino perdere il controllo del piccolo mezzo e cadere sull'asfalto della caserma. Iniziò il pianto di dolore. La porta di casa si aprì e il "Dux" corse in pantofole in soccorso del figlioletto, ma le sue parole nei confronti del figlioletto ferito non erano di comprensione e di conforto per ciò che era appena accaduto. Il "Dux" gridava al figlio che non doveva piangere perché altrimenti non sarebbe mai diventato un vero paracadutista. "Un vero paracadutista sopporta il dolore in silenzio", urlava.
Ore 18-23: libera uscita
Scendo in cameretta NBC e mi tolgo la "mimetica" per indossare gli abiti "civili". Accendo una sigaretta nell'attesa che arrivi il momento della libera uscita. La voce del furiere scandisce all'altoparlante i nomi dei paracadutisti in punizione Dalla cameretta accanto, intanto, sento le urla e i lamenti usuali segno distintivo di una pompata punitiva. Sono con il gruppo dei "palermitani". Ho bisogno di sentirmi un po' a casa almeno quando sono in libera uscita. Siamo cinque. Tutti i miei compagni palermitani di libera uscita hanno incarichi di caserma diversi: Franco: furiere; Andrea: cuciniere; Piero: autista; Tonino: meccanico.
Tonino è su di giri. Domani torna a casa per una settimana. Il suo soprannome è "Schi", perché fra gli altri, ha il tic di dire "schi" ogni due tre parole. Tonino dice che prima del servizio militare non aveva nessun tic, ma in seguito alle botte prese dopo il suo rifiuto a partire per la Somalia aveva ricevuto "in regalo" tanti tic compreso questo "schi". Facciamo il solito giro per la piazza del Campo prima di raggiungere la solita ultima tappa: il "Re Artù", il pub dove andiamo a bere la sera prima dei lanci.
Scendo in cameretta NBC e mi tolgo la "mimetica" per indossare gli abiti "civili". Accendo una sigaretta nell'attesa che arrivi il momento della libera uscita. La voce del furiere scandisce all'altoparlante i nomi dei paracadutisti in punizione Dalla cameretta accanto, intanto, sento le urla e i lamenti usuali segno distintivo di una pompata punitiva. Sono con il gruppo dei "palermitani". Ho bisogno di sentirmi un po' a casa almeno quando sono in libera uscita. Siamo cinque. Tutti i miei compagni palermitani di libera uscita hanno incarichi di caserma diversi: Franco: furiere; Andrea: cuciniere; Piero: autista; Tonino: meccanico.
Tonino è su di giri. Domani torna a casa per una settimana. Il suo soprannome è "Schi", perché fra gli altri, ha il tic di dire "schi" ogni due tre parole. Tonino dice che prima del servizio militare non aveva nessun tic, ma in seguito alle botte prese dopo il suo rifiuto a partire per la Somalia aveva ricevuto "in regalo" tanti tic compreso questo "schi". Facciamo il solito giro per la piazza del Campo prima di raggiungere la solita ultima tappa: il "Re Artù", il pub dove andiamo a bere la sera prima dei lanci.
Ore 23.00: contrappello
Dalle camerette vicine all'entrata principale arriva voce che don Gianni gira controllando gli armadietti per sequestrare giornaletti porno. Don Gianni è il cappellano militare. È un tipo strano, non sono mai riuscito ad inquadrarlo. Veste la mimetica come noi con il brevetto da paracadutista in bell'evidenza. È da un po' che non mi saluta neanche. Da quella volta che radunò tutta la compagnia nella sala grande. Era un periodo "caldo": si parlava della imminente partenza di un altro contingente per la Somalia. Io ero nella lista dei partenti e speravo che il cappellano ci avesse radunato con l'intento di accompagnarci spiritualmente in quel momento così particolare. Ricordo la mia delusione quando lesse l'ordine del giorno di quella riunione. Non riuscii a trattenermi ed intervenni. Gli chiesi pubblicamente se non fosse il caso di parlare della morte o di che significa uccidere un uomo per la patria o per una missione umanitaria che fosse, piuttosto che parlarci delle bestemmie e della masturbazione. Il cappellano mi rispose che doveva attenersi strettamente alla circolare che aveva ricevuto. Il furiere annuncia all'altoparlante l'inizio del contrappello. Ci infiliamo tutti sotto le coperte mentre Lazzaro si aggiusta la divisa. Il caporale di giornata passa col furiere a controllare le presenze e la pulizia delle camerate. Si spengono le luci. È stata trovata della polvere sotto l'armadietto di Claudio. Lazzaro ordina agli ultimi arrivati di pompare. Sento nel buio il fiatone e i lamenti di Nevio e Claudio mentre pompano. Mi accendo una sigaretta.
"Paracadutista ... per tutta la vita"
Il giorno del congedo il comandante Ducito mi salutò dicendomi: "Addio, Barnao. Si ricordi che paracadutisti si rimane tutta la vita". Ed è vero. Ci sono emozioni e sensazioni che solamente chi è stato paracadutista militare può riconoscere ed apprezzare.
Il giorno del congedo il comandante Ducito mi salutò dicendomi: "Addio, Barnao. Si ricordi che paracadutisti si rimane tutta la vita". Ed è vero. Ci sono emozioni e sensazioni che solamente chi è stato paracadutista militare può riconoscere ed apprezzare.
LA MIA BRIGATA: STORIA (REALE) DI UN PARACADUTISTA DELLA FOLGORE
Ho fatto parte della Brigata Paracadutisti Folgore dal 3 settembre 1999 al 23 marzo 2002.
Prima di approdarvi, essendomi arruolato come volontario in ferma breve (VFB), ho effettuato un corso di 3 mesi presso l'85° Reggimento Addestramento Volontari "Verona" a Montorio Veronese (Verona), e due mesi di corso di specializzazione da fuciliere presso la Scuola di Fanteria di Cesano (Roma). Incontrai qualche ostacolo ad arruolarmi, ma lo superai.
In questi tre anni ho vissuto emozioni fortissime, ho conosciuto molti amici, con alcuni mi sento ancora, altri purtroppo, non ci sono più. Me ne sono andato per una scelta professionale, ma anche perchè, ad un certo punto, ero arrabbiato con l'Istituzione, colpevole, secondo il mio pensiero di allora, di averci abbandonato. Capirete meglio le mie motivazioni leggendo la mia storia militare.
Mi sento ancora oggi con i miei parigrado ed i miei superiori, ho una grande stima nei loro confronti.
Spero di non annoiarvi...si comincia:
La presentazione della domanda al distretto militare
Ho avuto un pò di problemi ad arruolarmi come VFB... nel giugno 1994 ho avuto un incidente in moto fratturandomi tibia e perone.
Dopo la visita di tre giorni (marzo 1995) il profilo sanitario dei miei arti inferiori era tre, condizione insufficiente per arruolarsi come volontario. Era necessario un due.
Sapevo di essere guarito, ma dovevo dimostrarlo ai medici militari per avere una rettifica sul profilo sanitario che mi rilasciarono a La Spezia tre anni prima. Il distretto militare di Roma, nel settembre 1998, mi mandò all'Ospedale Militare di Roma per effettuare le necessarie visite e la relativa rettifica.
L'esito, purtroppo, fu negativo. I medici militari presero la cosa alla leggera...forse neanche osservarono le lastre... probabilmente non se la sentivano di prendersi una tale responsabilità. La notizia mi distrusse moralmente. Volevo a tutti i costi arruolarmi nell'esercito, volevo a tutti i costi diventare un PARACADUTISTA DELLA FOLGORE. Ma non mi persi d'animo.
Chiamai un'amico maresciallo e mi disse che c'era un'ulteriore scappatoia: visto che il profilo sanitario era stato emesso dalla Marina Militare, potevo chiedere una visita militare presso di loro, ma questa volta, per evitare la definitiva bocciatura, dovevo munirmi di lastre dell'arto e di una dichiarazione di un ortopedico civile che certificasse la mia completa guarigione e l'abilitazione a qualsiasi attività sportiva. Così feci, portai tutta la documentazione, e mi rettificarono il profilo. Fu una grande vittoria.
Ora potevo arruolarmi. Portai subito, nella stessa giornata, la domanda al Distretto Militare di Roma con il nuovo profilo sanitario. Mi dissero subito che sarei partito a fine marzo 1999.
Il corso da Volontario all' 85° Reggimento "Verona"
24 marzo 1999. E' una data che non dimenticherò mai. La partenza in treno da Roma, l'arrivo alla stazione di Verona. Ricordo ogni attimo.
Viaggiai tutta la notte, arrivai al Reggimento la mattina verso le 10.30. L'impatto fu tosto, ma non sconvolgente. Ci insegnarono subito la disciplina militare, alcuni (molti) soffrirono questa cosa, io no, ero orgoglioso di impararla. In fondo lo avevo voluto io. Ed era quello che i nostri Comandanti ci dicevano sempre: "siete volontari, nessuno vi ha detto di venire quì"
Ebbi anche io momenti difficili da superare. Per più di due mesi non andai a casa, ma nessuno mi aveva ordinato di arruolarmi. Ricordo che inizialmente sentivo un leggero dolore alla schiena nello stare nel riposo alto e formale, era nulla in confronto all'addestramento che avrei vissuto nella Brigata Folgore...
Per mia grande fortuna trovai a Verona un'amico, un Caporal Maggiore Istruttore, Francesco Corsetti, ci conoscevamo da anni, frequentavamo la stessa comitiva nella stessa città, eravamo Grandi Amici. Nessun favoritismo, tra l'altro non era nella mia compagnia, ma un'importante aiuto psicologico. Per la prima volta mi trovavo lontano dalla mia famiglia senza poter contare su di loro. La mia svolta psicologica fu in una sua frase i primi giorni, mi guardò fisso negli occhi e mi disse: "Quando il gioco si fa duro, i duri cominciano a giocare". Oggi Francesco non c'è più, un incidente in mare ce l'ha portato via per sempre, vorrei ricordare il suo modo di scherzare e di sdrammatizzare nei momenti difficili. Senza di lui, sarebbe stato diverso.
Ero stato inquadrato nella V Compagnia "Cobra", una compagnia composta per la maggior parte da Bersaglieri, Alpini e fanti, nessun Paracadutista. Mio dio... anzi, a sentir parlare questi uomini, i Parà non valevano granchè... solo chiacchieroni. Avevo un sergente bersagliere che si sentiva Rambo ma non sapeva neanche leggere una cartina topografica, usciva in pattuglia stile scampagnata, senza armi, senza gibernaggio... viste le sue incapacità militari nella Brigata Folgore avrebbe pulito i cessi per tutta la vita. L'unica persona che ne sapeva di addestramento militare era un Volontario in servizio permanente degli Alpini, un ragazzo siciliano che era stato l'unico della mia Compagnia ad aver partecipato a missioni all'estero.
Mi adattai, aspettai il mio momento. Dopo una ventina di giorni arrivarono Loro, i selezionatori della Folgore. Si presentarono due Uomini, un Tenente RS, con un passato nelle forze speciali del Col Moschin, una drop tappezzata da brevetti esteri e missioni, ed un Maresciallo sullo stesso stile. Avevano una voce forte e decisa, fisici da atleti, due vere belve, nulla a che vedere con i Marescialli pancioni che avevo visto fino a quel momento. Non ricordo i loro nomi, ricordo che venivano da Pisa, guardavano noi volontari con la sguardo di uomini che vogliono adottare dei figli, e due occhi lucidi che vogliono dirti che se vuoi essere il migliore, devi andare da Loro. Ricordo anche che tutti all'interno del Reggimento, per due giorni smisero di parlar male dell'Eroica Brigata, bersaglieri compresi. Ci fecero vedere nella sala cinema di Reggimento un filmato sulla Brigata Folgore, dalla Battaglia di El Alamein fino agli novanta, soffermandosi sugli eventi più significativi, Somalia in primis.
Bene, quel filmato rafforzò ancor di più il mio concetto: Loro erano i migliori. Ed io dovevo andare da Loro.
Il giorno dopo selezioni fisiche. Corsa, salto in alto, flessioni, trazioni alla sbarra. Feci un certo sforzo a superarle tutte, non lo nego. Ma tenevo talmente tanto a quell'appuntamento che nei giorni passati mi ero allenato moltissimo.
Il resto della mia permanenza a Verona fu costellata da addestramento formale, ed un'a.i.c. (addestramento individuale al combattimento) da bambini. Pattuglie ridicole, mai letta una cartina topografica. Bisognava "fare numero" nell'Esercito, i VFB erano nati da poco, ancora esisteva la leva, quindi la politica era: facciamogli fare cose da bambini, così nessuno si fa male e lo Stato Maggiore è contento. Ricordo però un Capitano, Comandante della II Compagnia, un Paracadutista: faceva indossare ai suoi allievi gibernaggi con all'interno mattoni di terracotta, armi individuale per tutti, istruttori compresi (nella mia Compagnia per questi era un'optional a loro discrezione). E ricordo il Comandante di Reggimento che lo elogiò davanti a tutti all'alza bandiera: "Bravo Bruno, Bravo, è così che si addestrano dei soldati". Su quest'uomo, occhi celesti di ghiaccio, silenzioso anche con i propri parigrado, sempre pronto a rispondere al tuo saluto in modo militare, giravano incredibili leggende sul suo passato in Somalia.
Tuttavia le pattuglie che feci a Verona furono importanti per abituarmi al peso dello zaino... ricordo gli altri allievi che bestemmiavamo a destra e a manca, io invece rimanevo nel mio silenzio e nella mia sofferenza, sapendo che quel peso sulle spalle spesso insopportabile, era necessario per ben figurare nei ranghi della Brigata come Fuciliere. Perchè scelsi di fare il Fuciliere. E fui accontentato.
Il 21 giugno 1999 da Allievo VFB, divenni Caporale VFB. Incarico Fuciliere Paracadutista, destinazione Cesano (Roma), Scuola di Fanteria per il relativo Corso. Fu una bella soddisfazione, ma dovevo ancora sbarazzarmi del basco nero.
Il corso da Fuciliere alla Scuola di Fanteria di Cesano
Arrivai a Cesano, ma la situazione non era di molto migliore. Anzi, per certi aspetti, anche peggio. Lì però per volontà del Comandante del nostro battaglione, un Tenente Colonnello prossimo alla pensione che non voleva avere problemi. In compenso però trovai istruttori con il Basco Amaranto che fecero quello che poterono... tuttavia, ricordo, una straordinaria esercitazione di peace keeping condotta (ovviamente) da un Tenente Paracadutista, macchiata però dal grave ferimento in un occhio di un allievo colpito dal proprio colpo a salve infuocato uscito dall'otturatore della sua carabina.
La compagnia era formata da Caporali da addestrare per poi finire nelle diverse specialità dell'Esercito, bersaglieri, fanti della Sassari, Paracadustisti, ed altro...In quella compagnia però incontrai alcuni di quelli che furono i miei futuri camerati di Compagnia nella Folgore. Andrea R., Michele C., Carlo S., Cesare L., Luca Z., Emanuele T., Agostino P., Claudio S., Antonio T., Antonio M., Giuseppe M., Francesco C. e Simone T. (spero di non aver dimenticato nessuno!). Noi facevo "gruppo", noi un giorno avremmo sudato nel fango condotti da forti e carismatici Comandanti della Folgore, noi ci sentivamo, ed effettivamente eravamo, diversi.
Cesare L., Antonio M. e Claudio S. erano soldati di leva della Brigata Folgore che avevano fatto la domanda da VFB. Erano gli unici che avevano il Basco Amaranto, erano Brevettati, sapevano cosa volevano dire staccare i piedi da quel maledetto C-130. Per noi erano dei maestri, Cesare in particolare un fratello maggiore.
22 mesi di servizio solo ed esclusivamente nei ranghi della Brigata, non aveva mai indossato un basco nero, a Pisa era stato un A.I.P., istruiva soldati di leva a conseguire il brevetto da Paracadutista alla Scuola Militare di Paracadutismo (poi diventata Ce.A.Par.). Fisicamente era di un altro pianeta. Noi volevamo diventare come lui. Lui arrivò primo al Corso fuciliere, Andrea R. secondo, e poi io, e dopo tutti gli altri. Ero sul podio, ma soprattutto, i primi tre erano tutti destinati ai reparti Paracadutisti. Ricordo comunque validissimi soldati che poi sarebbero stati destinati alla Brigata Sassari, uno fra tutti, intelligentissimo, abile, astuto, forte: Stefano B.
L'addestramento di Cesano non era granchè... cosa vuoi imparare da un Comandante di Plotone Sottotenente di Complemento con 10 mesi di servizio ??? Cesano mi servì per riveder in maniera più frequente la mia famiglia, visto che vivevo a mezz'ora dalla caserma. Tutti i week end a Casa, e avevo (!) anche il posto in caserma per la mia automobile.
E arrivò anche quì il giorno delle destinazioni: c'era una leggenda che diceva che saremmo stati tutti destinati ai bersaglieri... perchè la garibaldi aveva esigenze di personale. Io giurai che se fosse successo avrei fatto domanda di proscioglimento. E l'avrei fatta veramente. Per fortuna però... era solo una leggenda.
Destinazione per noi aspiranti Parà: CENTOOTTANTASEIESIMO REGGIMENTO PARACADUTISTI FOLGORE. Uno dei reparti più tosti, operativi, incazzati e pluridecorati dell'Esercito Italiano.
Tutti noi a Siena, all'186, compresi i tre ragazzi già Paracadutisti. Il resto misti tra bersaglieri e Brigata Sassari.
Era il 2 settembre 1999.
L'arrivo al 186° Reggimento Paracadutisti "FOLGORE" di Siena
Il 3 settembre 1999 arrivai insieme agli altri a Siena presso il 186° Reggimento, facemmo un viaggio in treno pieno di speranze, racconti e pensieri su quello che avrebbe dovuto essere uno dei reparti più operativi in assoluto dell'intero Esercito Italiano. Anche i tre che erano con noi, nonostante già Paracadutisti, non avevano idea cosa significa entrare a far parte di un Reggimento del genere. Non avevano mai avuto esperienze operative, Cesare addestrava gli allievi al corso palestra, Antonio e Claudio erano stati ripiegatori di Paracadute.
Il 3 settembre appunto. Non fu il vero impatto con la Folgore. La vera Folgore, il BATTAGLIONE, quello dove vanno a finire i Fucilieri, i guerrieri, era fuori in Bosnia. La vera FOLGORE, quella tosta e incazzata, l'avrei vista più avanti. Ma era solo una questione di tempo...
Ci "parcheggiarono" nella Compagnia Comando e Servizi "Sorci Verdi", la Compagnia era strapiena, c'erano più di duecento persone, ma tutto sembrava essere sotto controllo, cosa che da altre parti, in casi del genere, sarebbe stato impossibile. Tutti i ragazzi che tornavano dalla missione venivano aggregati alla CCS. Quindi per noi non c'era posto... il BATTAGLIONE sarebbe ritornato tra due settimane.
Facemmo tredici: era venerdì, ci mandarono a casa per il week end, e il lunedì tutti a Pisa per il corso palestra a conseguire il Brevetto da Paracadutista. Fu una grande beffa per i ragazzi dello scaglione più anziano del nostro, si sarebbero brevettati dopo di noi!
6 settembre 1999, PISA, il Corso Palestra
Il Centro Addestramento Paracadutismo (ex SMIPAR) di Pisa era uno spettacolo: sembrava di essere in un Hotel a 5 stelle, si mangiava da paura, si faceva attività fisica tutta la mattina, addestramento teorico e pratico sull'utilizzo del Paracadute il pomeriggio. Aria allegra, ma era ovvio, stavi sempre nella FOLGORE: se sbagliavi venivi punito. Ordine e disciplina al primo posto.
E poi penso di aver avuto la fortuna di trovare un grande Comandante: il Colonnello Incursore Paracadutista Marco Bertolini.
Una leggenda delle forze speciali Italiane, Comandante del 9° Battaglione d'Assalto Col Moschin in Somalia, avevo conosciuto le sue gesta sui libri e su Internet, era stato colui che comandò fin dal primo giorno gli Incursori Italiani nel corno d'Africa e l'irruzione all'ambasciata di Mogadiscio il 16 dicembre 1992. Successivamente comandò il 9° Reggimento Col Moschin, e quindi la CeAPar. Nei tempi recenti è stato Generale Comandante della Brigata Folgore, e capo di stato maggiore ISAF in Afghanistan. Quando ti guardava negli occhi all'alza bandiera ti faceva sentir fiero di appartenere alla Specialità.
Tuttavia a Pisa c'era un'aria difficile che penalizzava fortemene le tradizioni Paracadutiste: un mese prima era morto un Allievo Paracadutista in circostanze non chiare, quindi era vietatissimo qualsiasi atto di nonnismo, fra cui le "pompate", quelle che i fanti chiamano le flessioni.
Bene il mio pensiero è che le pompate non sono un'atto di nonnismo, ma una tradizione, un qualcosa non puoi cancellare, un qualcosa che ha radici ardite e antiche, ed era, tra l'altro, un modo "facile" per irrobustire il fisico dei Parà.
Fatevi 20-30 pompate al giorno fuori programma e poi ne riparliamo...
Il Corso Palestra lo seguii come un studente modello... e così i miei amici. Era una selezione continua, la torretta, il telo, la corsa, le trazioni, le flessioni (pompate...), il salto in alto...
La Compagnia era formata da militari dei diversi Reparti della Brigata. Noi del 186° uscimmo tutti Brevettati, tranne due. Entrambi fecero lo stesso errore in falsa carlinga il giorno prima del primo lancio. Un errore gravissimo, forse il più grave, ossia quello di far passare la fune di vincolo sulla parte opposta alla mano che la sorregge. Lanciandosi in quel modo si rischia l'amputazione traumatica della testa staccandola di netto.
Bocciati, fuori, non esistevano appelli, i nostri istruttori tenevano sulla sicurezza in maniera dir poco esagerata. Giusto così.
Non solo, ritornare a Siena senza Brevetto non era davvero un buon biglietto da visita... successivamente solo Francesco C. riuscì a ripeterlo brevettandosi, mentre l'altro, non solo venne scartato nuovamente, ma si prosciolse perchè la Brigata non faceva per lui...meglio così.
A metà corso venimmo a sapere dal nostro accompagnatore a quale Compagnia del 186° eravamo stati assegnati: la XIII Compagnia Paracadutisti CONDOR, gli Inesorabili Rapaci. Una gloriosa compagnia, una delle poche esistenti schierate nella battaglia di El Alamein.
Le Compagnie fucilieri erano tre: la XIV Pantere Indomite, dove non potevamo finire, era un'esperimento del Comando Brigata, composta solo da Volontari in Servizio Permanente, un mix di Paracadutisti esperti, di uomini con anni di esperienza, poi c'era la XV Diavoli Neri, la Compagnia che pagò in Somalia il più alto tributo di sangue, avendo combattuto in prima linea il 2 luglio 1993 nella Battaglia del Check Point Pasta. Da una parte ci sentivamo più tranquilli, pensavamo "cavolo la XIII sarà più tranquilla...". Fu un grosso errore di valutazione.
4 Ottobre 1999, il primo lancio
Il primo lancio è come il primo rapporto sessuale,o il primo bacio, o quant'altro fai per la prima volta sapendo che stai scrivendo la storia della tua vita. Non capisci nulla. Fai tutto in automatico, e lo fai bene. Lo Zic-1, i Comandanti che ci dicono di prepararci, il C-130 che fa manovra, il suo rumore ti entra dentro come le voci di una donna che sussurra di voler fare l'amore con te. La salita sulla rampa, l'odore del Kerosene, è come se fossi in un film. E vai a cercare lo sguardo rassicurante di qualche compagno. Attimi indimenticabili.
E ancora... 5 minuti al lancio... prepararsi.... 1 minuto al lancio... ci si avvicina alla porta... 5 secondi alla lancio... alla porta: VIA!!!!
Lo slancio, 1000-1, 1000-2, 1000-3...arrivi a 1000-4...controllo calotta... qualche giro di avvitamento... e sei passato dal frastuono emesso da un aereo in volo con la porta aperta alla calma più totale. Sei tu, solo, con il tuo Irving 80 che ti fa galleggiare nel cielo.
Una soddisfazione enorme, un momento indimenticabile. La zona lancio fu quella quella mitica di Altopascio. L'atterraggio non fu male, anche se ti rendi conto che la capriola che fai in palestra a Pisa simulando appunto l'atterraggio, non riuscirai mai a farla...
Seguirono nel giro di un mese il secondo e il terzo lancio, il secondo sempre ad Altopascio, il terzo sulla zona lancio di Tassignano in mezzo a... polli e galline.
5 Novembre 1999, il rientro al 186° Reggimento Paracadutisti "FOLGORE"
Ed eccoci quà. Che nessuno si offenda, ma il vero contatto con la FOLGORE, quella vera, quella erede degli EROI che combatterono in Africa 60 anni prima, ce l'hai quando entri in un BATTAGLIONE.
A Siena c'era, e c'è, IL QUINTO.
Il 5° BATTAGLIONE PARACADUTISTI "EL ALAMEIN". Insieme al 2° Battaglione "Tarquinia" (inquadrato nel 187° RGT di Livorno), il Quinto era (ed è tutt'ora) l'unico battaglione esistente schierato nella battaglia di El Alamein che mantiene una formazione praticamente quasi inalterata rispetto ad allora.
Una storia gloriosa e ardita alle spalle, la più limpida ed importante, dal punto di vista militare, d'Italia.
Il Quinto Battaglione, agli ordini del Tenente Colonnello Giuseppe Izzo, nell'epica battaglia inflisse gravissime perdite agli inglesi con atti di puro e leggendario eroismo. Quella pesantissima eredità era tra di noi.
E pretendeva rispetto.
Nel 1999 era formato dalle tre compagnie fucilieri XIII, XIV e XV, mantenendo la stessa numerazione assegnata nel 1942, all'atto della fondazione e dello schieramento in Africa settentrionale, più una compagnia Mortai Pesanti, la Mo.Pe.. Il mio primo contatto con la XIII a livello psicologico fu traumatico. Sei l'ultimo arrivato, le luci sono soffuse dalle tele dei vecchi paracadute appese ai soffitti, disegni leggendari sui muri, massima formalità e disciplina anche tra marescialli e tenenti... mettici pure che sei un rospo... TENGO A PRECISARE CHE NESSUNO SI E' MAI PERMESSO DI ABUSARE DEL SOTTOSCRITTO, tutto quello che ci veniva imposto faceva parte del REGOLAMENTO di DISCIPLINA MILITARE.
Insomma, il regolamento veniva applicato alla lettera.
Non pensavo però che quell'ambiente grigio e cupo sarebbe diventato con il tempo la mia seconda casa, quei Comandanti duri e inflessibili, miei Padri, e i miei anziani miei Fratelli maggiori.
Era Venerdì, niente week end a casa, arrivammo nel tardo pomeriggio e non c'era il tempo materiale per le eventuali licenze. Il Sergente di giornata si preoccupò di equipaggiarci come doveva essere equipaggiato un Paracadutista: zaino americano "alice" con basto in ferro, elmetto in kevlar, e soprattutto gibernaggio americano... via quell'immondizia che ci forniva lo Stato Maggiore. La Folgore ha sempre agito in autonomia, adotta materiale di provenienza statunitense dal 1986. Contrariamente agli altri reparti dell'Esercito Italiano, i propri fondi li spende per equipaggiare al meglio i propri soldati.
I miei Comandanti, primo contatto
Lunedì 8 novembre. Conobbi Loro. I miei Comandanti. Mi limito a parlare di coloro che sono stati i miei Comandanti diretti, ma anche tutti gli altri sono stati uomini eccezionali.
Il Comandante di Compagnia era Francesco M., Capitano, sembrava che scherzava quando parlava, ma faceva terribilmente sul serio, intelligentissimo Ufficiale d'accademia, nella truppa era amato o odiato. Tuttavia non riesco a capire ancora oggi il perchè. Non esisteva, quando divenimmo "adulti", un Comandante di Compagnia che mandava in licenza i propri uomini tanti giorni quanto lo faceva lui. Ci faceva sgobbare... ma anche, e giustamente, riposare. Esigeva per tutta la Compagnia un forte addestramento fisico, corsa in particolare.
Curava molto anche la parte tecnica, sia teorica con lezioni in aula, che pratica con pattuglie e atti tattici offensivi\difensivi. Non improvvisava, programmava il nostro addestramento (e le nostre licenze) nel migliore dei modi.
Il suo vice, un giovane ma Grande Ufficiale, Antonio C., serio e razionale, poi scoprimmo che era molto alla mano, e la battuta allegra la lanciava spesso. La sua battuta "ciacalas o ciculus?" è un piacevole ricordo di un Comandante serio ed allegro al punto giusto. Capitava spesso di incontrarlo nei Pub di Siena, e ,sempre con la giusta formalità, si scambiavano due chiacchiere e una birra. Penso che avrà un grande futuro nell'Esercito, ovviamente nei Paracadutisti.
E poi i Comandanti di Plotone. Emiliano P, Comandante del mio Plotone, il 3°, di un solo anno più grande di me, divenne subito un maestro, e successivamente un grande amico, ma non esitava a tirarmi le orecchie (in senso metaforico) quando facevo qualche cazzata. Il Comandante di Plotone è quello più basso di tutti nella catena gerarchica Reggimento-Battaglione-Compagnia-Plotone, quindi era quello che conosceva meglio i propri uomini. Era estremamente formale, pretendeva l'attenti in ogni circostanza, esprimeva un'eccessiva romanità, allegro e scherzoso, era preparato al Top militarmente. Era, ed è tutt'ora, uno dei più grandi tiratori scelti dell'Esercito Italiano, fregiato del brevetto di Istruttore di tiratore scelti. Era un mix di allegria-serietà. Romanista sfegatato come me, mi faceva pagare cara questa pseudo-amicizia calcistica... Ha creduto molto in me, e io penso di averlo ripagato come dovevo. Oggi volge servizio in un Reggimento di forze per operazioni speciali.
Poi veniva lui... il Mito, il Maresciallo di Compagnia, Giuseppe P.. Grandi Capacità, Ideologicamente potrei definirlo "l'Uomo Folgore", sguardo duro come la pietra, appassionato ed esperto come pochi di arte militare e storia, tutti avevamo paura di Lui, poi però con il tempo capimmo che aveva un cuore grandissimo, o almeno io capii questo. Se facevi una cazzata prima di portarti dal Comandante di Compagnia ti faceva un discorso, cercava di colpirti dentro, cercava di farti capire, con le parole, che la Folgore andava rispettata, che non poteva permettersi di avere nei ranghi menefreghisti e finti Paracadutisti. Io capii questo da Lui. Aveva anche i suoi difetti, mai una battuta allegra, a volte esagerava, ma nel 99% delle volte aveva terribilmente ragione. Bisognava capirlo, prima di dire tra di noi "quello è matto". Era anche un' eccellente Combattente, nel Reggimento uno dei più preparati fra tutti. Era l'unico della mia Compagnia che in passato riuscì a superare il corso da Incursore al 9° Reggimento Col Moschin. Quindi, in mezzo al fango, o in un bosco, sapeva come sopravvivere, e questo cercava di insegnarlo a noi. A me personalmente insegnò molto.
E ancora, il Comandante di squadra, Maurizio Gallitto, mi permetto di fare il suo Cognome poichè non è più in servizio nell'Esercito. Volontario in Servizio Permanente, era uno di quelli che provenivano dalla leva Paracadutista, Basco Amaranto da sempre, aveva un cuore grandissimo, e una forza disumana. Non era grosso, alto poco più di uno e settanta, ma un passato da pugile professionista, le parole "dolore" o "sofferenza" erano termini che non facevano parte del suo vocabolario. In pattuglia non si toglieva lo zaino neanche quando sostavamo per riposarci. Era un grandissimo atleta e spesso ci faceva lezioni di educazioni fisica. Proveniva dalla XIV Pantere Indomite, i Paracadutisti per eccellenza in quel periodo.
Il primo discorso ce lo fece lui, il Maresciallo di Compagnia, Giuseppe P.: "Dimenticate Cesano, quì non siete ne a Cesano, ne a Pisa, quì dovete imparare ad essere dei Fucilieri Paracadutisti".
Pian del lago, Montagnola Senese, Pian di Spille... un mese intero di addestramento tosto e ininterrotto.
Il 21 novembre ci aspettava la MANGUSTA.
Prima di passare alla Mangusta però, vorrei ricordare gli altri superiori del Reggimento che non facevano parte della mia Compagnia, ma di cui ho un ottimo ricordo. Al 186° Reggimento vi erano uomini preparatissimi, alcuni ex Incursori, tra cui il Maresciallo R.B., ex operatore del Col Moschin, 9 anni nelle forze speciali in prima linea tra Somalia, Ruanda e Bosnia.
Mi raccontò il suo 2 luglio 1993,alcune fasi concitate della battaglia e dell'amicizia che lo legava a Stefano Paolicchi, Sergente Maggiore del 9° caduto in combattimento quel giorno a Mogadiscio, e di altre operazioni speciali che aveva effettuato al Col Moschin.
E ancora, negli ex operatori delle forze speciali del Col Moschin ricordo con piacere il Maresciallo S.C.. Fece parte del commando d'assalto che nel 1986 sarebbe dovuto intervenire sull'Achille Lauro.
"Loro" li riconoscevi dalla "cimice" del basco, avevano il fregio tradizionale ma all'interno, ne il numero del Battaglione, 5, nel quello del reggimento, 186, ma avevano il 9. 9° reggimento d'Assalto Col Moschin appunto. La loro enorme esperienza era messa al servizio di noi Paracadutisti convenzionali.
E ancora, la XV Compagnia aveva come Comandante un Grande combattente di razza, il Tenente R.C., decorato a medaglia d'argento al valor militare per i fasti del 2 luglio 1993. Ebbi la fortuna di scambiarci due parole. Come lui, e per lo stesso motivo, era stato decorato della stesso onorificenza, il Maresciallo G.B., un Grande Uomo, in quel periodo faceva parte del Comando di Battaglione, e vi rimase fino al mio congedo.
E poi tanti altri, molti di cui non ricordo il nome, ma forti e valorosi, come vuole la Tradizione Paracadutista.
Cominciai anche a conoscere le bellezze di Siena e della sua gente. A differenza di Livorno dove c'è una rivalità storica tra i Parà e i cittadini, il rapporto con i Senesi era ottimo. C'era un rispetto reciproco, tranne qualche episodio isolato. A Siena il Paracadutista era, ed è tuttora perfettamente inserito nel tessuto sociale. Senesi e Parà partecipano insieme a ricorrenze, feste e... sofferenze.
Poi per un giovane Siena era (ed è...) una vera manna dal cielo. La cittadina toscana è un importante centro universitario sia nazionale che internazionale, e le belle giovani donne di conseguenza non mancavano certo... Ricordo le serate al Barone Rosso, al Caffè del Corso, e all'Irish Pub, punti di riferimento per noi Parà. Fiumi di birra e discorsi in tutte le lingue...
Se eri giovane e carina e in quegli anni sei passata da quelle parti, avrai avuto almeno un contatto con un Paracadutista... non potevi sfuggirci, saresti stata una nostra preda.
20 Novembre 1999, la mia Magusta
Per chi è stato nella Folgore la Mangusta non ha bisogno di presentazioni. La Mangusta è un'esercitazione dove si sfidano 2 o più reparti, o compagnie, o gruppi tattici. Uno fa da interdizione, l'altro da controinterdizione.
20 Novembre 1999. Nell'entroterra toscano faceva terribilmente freddo.
Vista l'indisponibilità degli altri Reggimenti della Brigata (l'187 era Timor Est, la Nembo non ricordo dove, ma era fuori), ci fu la seguente dislocazione: XIV Pantere Indomite vs Resto del Reggimento.
Ossia una compagnia contro tre. Noi dovevamo controllare gli obiettivi senza avvicinarci eccessivamente, ci muovevamo con i mezzi, lasciavamo gli zaini, e pattugliavamo a piedi, sia di giorno che di notte. In 10 giorni avrò dormito non più di 20 ore...
Loro invece vennero infiltrati con aviolancio in una zona a noi sconosciuta. Le "Pantere" dovevano muoversi con zaini, armi e tutto il resto, dormivano di giorno, e camminavano di notte per sfuggire al nemico (noi).
Bhe, pensavo, li faremo a pezzi, 3 contro 1, loro avranno difficoltà a muoversi. E invece ci massacrarono loro.
Fecero tutti gli obiettivi, catturarono alcuni dei nostri, noi non riuscimmo mai a fermarli, trovammo solo qualche traccia durante i vari pattugliamenti.
Troppo forti, troppo esperti e preparati. Personalmente però, insieme a Maurizio Gallitto e Giuseppe M., riuscimmo a localizzare una loro pattuglia. Ci appostammo in un casale verso il tramonto, e a turno osservammo i movimenti con il visore notturno. Bene... scoprimmo che in quel caso si erano mossi usando un furgone civile. In fondo, in guerra è permesso tutto o no?
Certo, e quella doveva essere una simulazione di guerra. In più avevamo a che fare con il meglio delle forze convenzionali dell'Intero Esercito.
La XIV Pantere aveva, ed ha tutt'ora, i migliori soldati dell'Esercito Italiano, sia nei quadri che nella truppa, che a suo tempo era formata solo da Volontari in Sevizio Permanente. Gente che potrebbe tranquillamente ben figurare nelle forze speciali. Autentiche macchine da guerra, ricordo in particolare 3-4 elementi... li saluto, se si ricordano di me, Loro sanno che sto parlando di loro, i loro cognomi P., S., C..
Nella recente missione ISAF in Afghanistan questi Paracadutisti (esattamente i cognomi puntati che ho citato) sono stati la scorta del Generale Rosario Castellano, Comandante della Brigata Folgore. Un lavoro in passato svolto dagli Incursori del Col Moschin. Questo per rendere l'idea di chi avevamo a che fare.. .
La nostra era una Compagnia giovane, la truppa era "acerba". I nostri quadri erano preparatissimi, ma avevano a che fare con personale di truppa totalmente inesperto, tranne i VSP che erano si o no una decina. Quindi la debacle fu totale. Ma imparammo molto da quell'esperienza. Imparammo a condividere la roba da mangiare come si fa da veri soldati, imparammo a muoverci nella boscaia, le tecniche per non perdere le tracce di chi stai inseguendo, imparammo a... non sottovalutare il nemico.
C'era ancora molto da imparare, ma fu una gran bella esperienza.
Dicembre 1999, il battesimo del fuoco di gruppo, assalto di plotone a Pian di Spille
Il "pane" del fuciliere Paracadutista è indubbiamente l'assalto. L'assalto può essere di Squadra, Plotone, Compagnia (complesso minore), o Battaglione (gruppo tattico).
Archiviata la Mangusta ci aspettava l'assalto di Plotone. Provammo numerorissime volte a pian del lago, un posto nelle vicinanze di Siena. Poi ci recammo a Pian di Spille. Il primo giorno sparammo una grossa quantità di munizioni, sia con l'arma individuale (SCP), sia con quelle di reparto (Minimi ed Mg) e bombe a mano. Il giorno dopo, l'assalto.
L'assalto di Plotone è più complicato dell'assalto di squadra perchè tutte le 3 squadre devono sincronizzarsi nel fuoco-movimento. Misi il massimo impegno, anche perchè eventuali sbagli possono andare a scapito della sicurezza, si va a fuoco con armi da guerra, rischi di uccidere i tuoi compagni. Noi riuscimmo molto bene, tranne qualche problema con un arma di reparto che si inceppò. Comunque il Maresciallo Emiliano P. fece a noi i complimenti. Cominciavo a prendermi qualche soddisfazione.
Gennaio 2000, i lanci con la Compagnia fucilieri, tutta un'altra musica
C'era una voce di corridoio che diceva: a Pisa si lancia anche un sacco di patate, pasta buttarlo giù. Effettivamente quando mi trovai a lanciarmi con la mia Compagnia, la XIII, tutto era molto diverso: si effettuavano veri e propri lanci da guerra, con zaino, arma individuale o di reparto, possibilmente per squadra o plotone. Lo zaino, per regolamento (e sicurezza) non può pesare meno di 16kg. Se non ha un peso adeguato la fune a frizione rischia di non srotolarsi ed atterrare con lo zaino alice attaccato alle gambe non è una gran cosa... rischi di spezzartele, poichè oltre al peso e all'ingombro impedisce movimenti adeguati in fase d'atterraggio.
Feci 2 lanci in un giorno, uno la mattina, l'altro il pomeriggio. Ci imbarcammo a Grosseto la mattina, in un'aeroporto dove sfrecciavano caccia militari a pochi metri da noi. Il solito odore di kerosene, i soliti sguardi rassicuranti tra noi ragazzi. Dopo una ventina di minuti di "viaggio" sul G-222, ci lanciammo e ci reimbarcammo sullo stesso G che nel frattempo era atterrato ad Ampugnano. Altro lancio e pattuglia Ampugnano-Siena. Era il 17 gennaio 2000, ed avevo effettuato quarto e quinto lancio. Ora ero un Paracadutista militare a tutti gli effetti. Fregiai la mia drop con il brevetto con la stelletta al centro. Un altro punto importante della mia vita militare era stato raggiunto.
Nel frattempo il Capitano Francesco M. scoprì le mie doti informatiche, e mi "dirottò" in fureria. Insieme sviluppammo un importante programma di controllo del personale che in seguito venne adottato da tutte le compagnie. Ma ad onor del vero, dentro di me pulsava il cuore da Paracadutista fuciliere. Lui lo capì e cercai di alternarmi tra fureria e pattuglie.
Il mese di febbraio passò con numerosi poligoni, a marzo ci aspettava un'appuntamento importante: il complesso minore, l'assalto di Compagnia.
Marzo 2000, tra la neve di Carpegna, la XIII va all'assalto
Se l'assalto di plotone è un atto tattico offensivo difficile da preparare e da eseguire, quello di Compagnia lo è ancor di più, specie se devi operare in condizioni proibitive, ma secondo qualche nostro Comandante, se avremmo fatto buone cose in condizione avverse, con il buon tempo saremmo andati ancora meglio.
Passammo a Carpegna circa una settimana, tra poligoni, assalti di squadra e plotoni per chi non li aveva ancora fatti. Il 1° Plotone Comandato dal Tenente Luca D. fece addirittura l'assalto in un giorno, e il Complesso il giorno dopo.
Comandati dal nostro Grande Comandante di Compagnia Francesco M., il complesso minore che effettuammo fu spettacolare, vuoi per le condizione metereologiche, vuoi perchè eravamo una compagnia molto amalgamata. A dar man forte a noi "rospi" c'erano i VFB anziani ritornati da 8 (!) mesi di Bosnia in attesa di nomina VSP e, purtroppo, di trasferimento. Il canto degli MG fu straordinario, il bersaglio finale venne abbattuto anche da un razzo controcarro lanciato dal grandissimo Giuseppe Sagliocco, Caporal Maggiore con quattro anni di esperienza solo e sempre nella Brigata (ex parà di leva), oggi in congedo. Quel giorno corse e sbalzò per centinaia e centinia di metri con il Panzerfaust sulla spalla destra (andate a vedere quanto pesa un lanciarazzi panzerfaust...) sulle collline di Carpegna.
Tutto, o quasi, funzionò alla perfezione, e ,dato importante quando vanno a fuoco 100 persone contemporaneamente, nessuno si fece un graffio. Come sempre, d'altronde. Segno che l'insegnamento dei Comandanti era stato recepito in maniera perfetta dalla truppa.
Primavera 2000, preparazione e partenza per l'Albania
A fine marzo ci comunicarono che avremmo passato l'estate del 2000 in Albania e cominciammo a prepararci.
Nonostante la missione si presentava "facile", nulla, come vuole la tradizione Paracadutista, venne lasciato al caso. Poligoni, azzeramento delle armi, esercitazioni di peace keeping e partenza scaglionata da metà giugno. Era la nostra prima missione, e noi ragazzi nuovi, la sentivamo molto. Facemmo tutti un ottimo lavoro.
Tutto il Reggimento, dalla CCS al Battaglione, fece un gran figurone, e non potrò mai dimenticare i complimenti del Comandante della Brigata Comm-Zone West, Generale Casalotto. Era un Alpino, ma si complimentò con il 186° per l'elevata efficienza messa in atto durante i quattro mesi, era letteralmente "innamorato" in senso militare, di noi. Tutti i Generali, anche stranieri, che venivano a trovarci alla base di Ure, nelle vicinanze di Durazzo, si complimentavano con noi. A livello operativo si facevano per lo più ricognizioni di itinerari con rientro in giornata, sorveglianze alle basi, e una sorveglianza all'ospedale militare di Durazzo dove venivano ricoverati anche civili albanesi, specialmente bambini.
Il Reggimento aveva anche il compito di addestrare i militari dell'Esercito Albanese. Mandarono i nostri migliori VSP ad insegnare loro le tecniche di combattimento dei soldati di fanteria. E ancora, facemmo una spettacolare esercitazione di assalto in un lago con dei gommoni. Il Generale Casalotto, Comandante della Brigata che operava in Albania ci battè le mani. Era talmente colpito dalla preparazione dei Parà che a fine missione mandò a casa Carabinieri e Fanti che gli facevano da scorta chiedendo al nostro Comandante una decina di Paracadutisti per proteggerlo. La nostra Compagnia fornì Emanuele M., Volontario in Servizio Permanente, ovviamente uno dei migliori della XIII. Per lui oltre ai quattro mesi di missione con noi, ce ne sarebbero stati altri sei come scorta del Generale.
Dal punta operativo la missione offriva le pattuglie di ricognizione a lungo raggio, fino a prima del nostro arrivo esclusiva delle forze speciali.
Io ne feci una, denominata operazione "Notte di mezza estate", durò 4 giorni. Si partì l'11 luglio. Andammo a ricognire una parte del confine tra Montenegro e Albania. Posti che non esistevano neanche sulle cartine. La notte alloggiavamo in spazi aperti e nascosti, di giorno si camminava, si scattavano fotografie e riprese video. Il compito della missione era anche di localizzare le caserme dell'Esercito Albanese, fotografare segretamente, nei limiti del possibile, mezzi e uomini . Quei dati sarebbero serviti alla Nato per vedere effettivamente a che punto stava l'opera di ricostituzione dell'Esercito Albanese andato a pezzi dopo la guerra civile. Il secondo giorno effettuammo un'elirifornimento. Trovata la ZAE (zona atterraggio elicottero) stabilimmo le coordinate e le comunicammo all'elicottero. La ZAE era un quadrilatero dalle grandezza di un campo da calcio in una distesa piana ai piedi di una collina in una zona sperduta. Due Paracadutisti per lato garantivano la sicurezza. L'elicottero toccò terra e scaricò materiale da mangiare e casse d'acqua, dopodichè volò subito via. Visto che la roba da mangiare era molta, i nostri Comandanti decisero di distribuire buona parte degli alimenti alla popolazione civile albanese che in quel posto viveva in condizioni non proprio ottimali. Distribuimmo dolci, pasta, farina e pane a donne e bambini. Un atto nobile, come sempre, figlio dell'iniziativa Paracadutista.
A fine Agosto la nostra Compagnia si trasferì dalla base di Ure a quella di Puke, verso il confine con il Kosovo. L'ultimo mese della missione lo avremmo trascorso lì. L'ambiente era più rilassante, eravamo più autonomi, ma non per questo meno attenti. C'era un servizio, quello di controllare personale sospetto al confine tra Albania e Kosovo, che una volta terminato permetteva a chi lo aveva svolto di oltrepassare il confine ed essere ospitato dai soldati tedeschi in Kosovo per una notte. Ho effettuato un paio di volte quel servizio, e ho alloggiato un paio di notti dai tedeschi. Nonostante l'Esercito tedesco sia stato fortemente ridimensionato dopo la seconda guerra mondiale, oggi è un signor Esercito. Come qualità il migliore che ho visto. La loro base era un modello assoluto di bellezza, efficienza, pulizia ed altro. Postazioni MG ai quattro lati, ronde di soldati in movimento, armi automatiche evolutissime, tute da combattimento di altissima qualità, radio ultramoderne, mensa funzionante 24 ore su 24, moduli abitativi di un'altro pianeta rispetto ai nostri... con tanto di TV satellitare individuale compresi quelli degli ospiti... ricordo una battuta di un parà italiano: "neanche casa mia in Italia è così" .
A fine settembre tornammo ad Ure e qualche giorno dopo rientrammo in Italia.
L'esperienza di quella prima missione rese tutti più responsabili, per la prima volta ci trovavamo custodi di armi con caricatori e quando uscivamo quelle armi erano cariche (chiaro, senza colpo in canna) nelle nostre mani. Ritornammo agli inizi di ottobre, e facemmo una lunga e meritata licenza di 20-30 giorni, ma alcuni componenti della Compagnia vennero richiamati per aiutare la popolazione toscana nel disastroso alluvione che colpi la zona di Lucca. Come sempre il loro contributo fu talmente apprezzato che il sindaco di una città soccorsa ringraziò la Folgore con una targa.
Dicembre 2000, un Complesso minore senza precedenti.
Nel frattempo, era cambiato il Comando di Battaglione, era arrivato il Tenente Colonnello Massimo M., molto legato alla XIII, l'aveva Comandata in Somalia. Era un ottimo Comandante, preparatissimo, un grande stratega militare, esperto di Intelligence ed eccellente comunicatore.
E ancora, al 186° c'è stato un Ufficiale, tale Aldo Z.., ci dui parlerò più avanti. In questo periodo il Maggiore Aldo Z., se ben ricordo, faceva parte del Comando Brigata all'ufficio OAI (operazioni, addestramento, informazioni). In più arrivò quello che per me è stato il miglior Comandante di Reggimento al 186°, Colonnello Maurizio F..
Il mix di questi tre ufficiali ci portò ad un'assalto di Compagnia, complesso minore, senza precedenti.
Il teatro d'operazioni prescelto era Capo Teulada, un'imponente poligono militare (decine di ettari di colline e distese piane che si affacciano sul mare) nel sud della Sardegna. I plotoni che formavano la Compagnia erano tre. Il 1° e il 2° arrivarono in Sardegna in traghetto, uno si sarebbe infiltrato via mare con dei gommoni, l'altro via terra con i VM, il 3° invece si sarebbe imbarcato su un C-130 a Pisa e aviolanciato nelle vicinanze dell'obiettivo. Ai tre plotoni erano stati dati punti d'infiltrazione lontanissimi. E tutti e tre avrebbero dovuto fare una lunga pattuglia topografica per ricongiungersi e riformare la Compagnia che poi sarebbe andata all'assalto.
Io, che facevo parte del secondo, mi infiltrai via terra con il resto dei miei compagni. Costeggiamo il camping di Teulada lungo la strada statale, ci avvicinammo alla zona di infiltrazione, scendemmo dai mezzi ed entrammo nel campo d'esercitazione tagliando con delle tenaglie la recinzione. Tutto questo nel massimo silenzio. Eravamo nel più totale assetto da combattimento. Gibernaggi israeliani, zaini stracolmi, armi di reparto adattate all'utilizzo individuale, abbigliamento stile SAS nel deserto iraqeno. Camminammo di notte per due giorni, riposandoci di giorno occultati nella boscaglia. Durante la notte ricevemmo azioni di disturbo con flash bang e colpi a salve da parte di un ipotetico nemico, ma nessuno riuscì a scovarci.
Il giorno 22 dicembre i tre plotoni si congiunsero sulla cima di una collina, con i binocoli i Comandanti di squadra osservarono l'obiettivo da attaccare il giorno dopo, riferendo i dettagli alle rispettive Squadre. La sera, mentre eravamo in bivacco, ascoltai il derby Lazio-Roma con il mio cellulare spendendo 40 mila lire di telefono... insieme al mio inseparabile amico Fulvio R.. l'autogol di Paolo Negro fece sobbalzare noi e il nostro Comandante di Plotone, solo che noi distruggemmo il bivacco fatto con tanta cura durante le ore diurne. Dovemmo rifarlo al freddo e senza luce... ma la fede è fede e la Roma si stava avviando alla vittoria del suo terzo scudetto.
Il 23 mattina ci incamminammo in assetto tattico e defilato verso l'obiettivo. Nessuna prova in bianco, nessuno di noi lo conosceva, solo i nostri Comandati lo avevano osservato con il binocolo. Anche loro, compreso il Comandante di Compagnia, avevano solo ed esclusivamente le coordinate geografiche.
L'azione fu straordinaria. Vennero lanciati dei fumogeni come azione di disturbo, noi non conoscevamo la zona ed eravamo sotto stress avendo mangiato e dormito pochissimo in due giorni. Con queste componenti la simulazione fu quanto più possibile vicina alla realtà. Mancava solo il nemico. Tutti rimasero stupiti della riuscita dell'esercitazione, si presentò, nel briefing dopo la missione, oltre al Comandante di Battaglione e Reggimento, un ufficiale del Comando Brigata, Capitano R., che ci disse testualmente che nessun reparto di fanteria, per ovvi motivi di sicurezza, aveva effettuato una simulazione del genere, nessuno, ad eccezion fatta per le forze speciali, aveva mandato all'assalto con munizioni vere e bombe a mano 100 uomini senza effettuare una prova in bianco, e in alte condizioni di stress e stanchezza fisica. Secondo gli ufficiali, quello era il vero addestramento che doveva effettuare un reparto di Paracadutisti. Infiltrarsi dietro le linee nemiche ed effettuare azioni offensive e sabotaggio sotto stress fisico e mentale. Come dargli torto?
Tutti i Paracadutisti del mondo sono stati creati per questo.
2001 prima parte, squadra notturna, lanci e il G-8 di Genova
Nella prima parte dell'anno 2001 effettuammo tantissimi poligoni, veramente tanti, in particolare ci addestrarono a sparare di notte. Ad Aprile facemmo l'assalto di squadra e plotone notturno. Se un atto tattico offensivo diurno presenta difficoltà sul termine della sicurezza, figuriamoci quello notturno. Ma come sempre, vista la preparazione dei nostri Quadri che ci addestrarono a dovere, facemmo le cose nel miglior modo possibile.
A maggio cominciammo a prepararsi per l'evento dell'anno: la Folgore sarebbe stata impiegata al G-8 di Genova per sorvegliare l'aeroporto della cittadina ligure, e in particolare, gli aerei dei Capi di Stato. Era un qualcosa di nuovo per noi, l'atmosfera era elettrizzante, ci preparammo al meglio, alternavamo lezioni di tiro al poligono e addestramento antisommossa con scudi, manganello ed elmetto. L'aeroporto era considerato zona rossa. Vennero Ufficiali e Sottufficiali dei Carabinieri a farci lezioni teoriche sui movimenti politici extraparlamentari considerati violenti e sulla situazione che avremmo incontrato. Per i nostri Comandanti era un'occasione importante per dimostrare alle Istituzioni la nostra bravura anche sul territorio nazionale. Tutti ci tenevamo. E come sempre, nel rispetto del nostro Nome, ci addestrammo alla grande per due mesi consecutivi.
I primi di Luglio, prima di partire per Genova feci 4 lanci nel giro di due settimane, tutti in assetto da Combattimento, e con pattuglia topografica Ampugnano-Siena al seguito.
Tuttavia l'operazione G-8 fece sorgere dentro di me un'avversità nei confronti delle Istituzioni e di coloro che gestivano, su una poltrona allo Stato Maggiore, i militare dell'Esercito, e in particolare Noi Paracadutisti.
Arrivammo a Genova verso la metà di Luglio, penso fosse il 14 o il 15, di notte per evitare contestazioni politiche.
I no-global erano ovviamente contrari alla presenza della Folgore. Ma la nostra nave, dove avremmo dovuto alloggiare per motivi di sicurezza, non era ancora arrivata. Decisero così di portarci temporaneamente in una nave dove alloggiavano i Carabinieri Paracadutisti Tuscania. Il pomeriggio entrammo dentro Genova scortatissimi da Carabinieri, un'auto dietro, una davanti, una moto a destra, e una a sinistra, sirene a manetta, non ci si fermava neanche con il semaforo rosso. Il pullman che ci portava aveva in bella vista la scritta BRIGATA PARACADUTISTI FOLGORE sui fianchi. E gli amici no-global davvero non ci amavano, dovevamo fare 6-7 km di strada passando dentro Genova, dal molo delle acciaierie della Ilva, fino alla parte opposta del porto. Farlo senza scorta sarebbe stato un rischio enorme.
Subito ci "parcheggiarono" su una bellissima nave da crociera Egiziana. Facemmo due giorni di vacanza, mangiammo da signori, ci divertimmo veramente, un Parà della XIV si scontrò anche con un Carabiniere Parà dei Tuscania,un Tenente tosto e grosso... il nostro Parà (grande amico... una Pantera "DOC" nome in codice 7 D... ciao spero tu stia bene) era una belva e stava per finir male, beh ve la racconta tutta, sembra che 7D avesse bevuto un goccetto di troppo ed era insieme alle altre "storiche" Pantere ad assistere ad uno spettacolo di ballerine nella discoteca della nave, cominciò a tirar noccioline in testa alle persone davanti a lui e prese in testa a un Tenente dei Tuscania, che non mise davanti il grado, ma gli fece il segno con la mano "ti taglio la gola". Beh, forse il Carabiniere avrebbe dovuto dirgli "ti porto dal tuo Comandante di Compagnia e ti becchi sette giorni", ma evidentemente non sapeva che aveva a che fare con una Pantera... che appunto reagì da Pantera... per fortuna i compagni dei due calmarono le acque e tutto finì con un brindisi collettivo... due che hanno il Basco Amaranto non possono farsi la guerra.
Dicevamo si stava bene su questa nave. E sì, ballerine, ottima cucina, sale giochi, due giorni di assoluta libertà. Si stava talmente bene che ci tolsero due giorni di licenza, oserei dire, giustamente. Nessuno ebbe da ridire. Come avete capito però era una sistemazione provvisoria. Intanto si diffuse una voce: la nostra nave ha qualche problema di motore, sembra che sia stata trainata da dei rimorchiatori, arriverà presto.
Effettivamente arrivò la nave. Qualche problema di motore???? La nave era stata affittata per una settimana dallo stato Maggiore per 3 miliardi di lire che erano finiti nelle tasche di un armatore greco, il proprietario appunto.
Questo ci fu riferito da un ufficiale del Comando Brigata, cui oggi ricordo ancora Grado, Cognome e Nome.
La nave non aveva problemi di motore, ma era una carretta del mare, ferma da 15-20 anni. Dai tubi dei bagni usciva acqua con ruggine, al sistema di aria condizionata mancavano i filtri, così se l'accendevi respiravi l'aria puzzolente e gravosa per la salute emessa dalle cappe delle acciaierie Ilva. Il ponte e il corridoio erano nel più totale stato di abbandono, i vetri del ponte di comando rotti, immondizia ovunque.
Questo era il posto che lo Stato Maggiore dell'Esercito Italiano aveva destinato ai Paracadutisti del 186° Reggimento per il servizio da svolgere al G-8. Evidentemente qualcosa non funzionava nella catena gerarchica delle alte sfere dell'Esercito. I nostri Comandanti non poterono fare nulla, si adattarono come noi, tra l'altro anche loro dovevano dormire e mangiare in quella fogna, quindi non avevano nessuna colpa.
Da veri Paracadutisti ci rimboccammo le maniche, e cominciammo il nostro lavoro.
Per quei giorni, ognuno di noi, aveva lo status speciale di Agente di pubblica sicurezza all'interno dell'aeroporto. Potevamo, e dovevamo, controllare chiunque girasse all'interno dello stesso. Potevamo se ritenuto opportuno, fermare qualsiasi persona senza il regolare permesso di transito o con documenti non regolari o sospetti. Facemmo un gran lavoro insieme ai ragazzi del 183°,185° e 187°. Personalmente ebbi la soddisfazione professionale di sorvegliare per due ore, il giorno 20, insieme ad un mio compagno, l'Air Force One, l'aereo del Presidente Americano George Bush. E proprio sotto l'Air Force One successe un fatto grottesco: nonostante le raccomandazione del nostro Comandante di Plotone, qualcosa girò per il verso sbagliato. Ancora non riesco a spiegarmi come è possibile tanta superficialità durante un servizio del genere. Un Parà della mia Compagnia fece la sorveglianza all' Air Force One con una piccola radio fm per ascoltare musica... la radio gli cadde e finì in un tombino della rete fognaria proprio sotto l'importante aereo. Ora, non ci vuole un'esperto di esplosivi per sapere che una bomba radiocomandata può essere comandata su frequenza modulata (fm)... ed era proprio quello che pensava il personale della sicurezza statunitense notando con il radar questa frequenza proveniente sotto l'aereo del proprio Presidente, e proprio nel primo giorno di un incontro delicato come il G-8.
Bloccarono l'Aeroporto, vennero chiamate le forze speciali americane, i Navy Seal e i Comsubin vennero fuori dal nulla (l'aeroporto di Genova è situato sul mare) gli incursori del Col Moschin schierati sul grattacielo dello Sheraton con carabine 12,7 misero il colpo in canna. Nessuno doveva entrare od uscire dall'aeroporto. Chiamarono il BOE (bonificatore ordigni esplosivi). C'è una bomba sotto l'aereo di George Bush. Ve lo immaginate? No era un film, ma era la triste e grottesca realtà. Per fortuna il Parà parlò e tutto tornò alla normalità, ma le urla del nostro Comandante di Plotone ancora riecheggiano nei cieli di Genova...
A parte questo fatto a dir poco incredibile, tutto girò per il verso giusto. Il Presidente Silvio Berlusconi, fece addirittura un fuori programma, fermò la sua auto diretta verso l'aero, scese e strinse la mano a una decina di Paracadutisti
Penso questo basti a far capire il modus-operandi che effettuammo a Genova. Lo schieramento dei Paracadutisti all'aeroporto ebbe l'effetto che si desiderava: incutere timore ai protestanti-violenti in modo da non farli avvicinare. In un'intervista in Tv un no-global disse chiaramente che non avevano intenzione di avvicinarsi all'aeroporto proprio perchè "lì c'è la Folgore, e questi, se si incazzano, ci sparano addosso". Effettivamente avevamo delle regole di ingaggio poco rassicuranti per chi voleva oltrepassare la linea rossa dell'aeroporto: se qualcuno salta la rete, fuoco.
2001 seconda parte, arriva "Il Comandante", Maggiore Aldo Z. e si va in Kosovo sotto il suo Comando.
Archiviato il G-8, subito a lavoro. Ad inizio Ottobre si va in Kosovo. Ma prima ce l'evento che ha reso ancor più appagante la mia esistenza da Paracadutista: ad agosto arriva a Comandare il Quinto Battaglione "El Almein", quello che io definisco Il Comandante per eccellenza, il Maggiore Aldo Z..
O lo amava o lo odiavi. Io lo amavo, i miei amici, alcuni lo amavano, altri lo odiavano. Con lui non si giocava con la divisa addosso.
La mattina TUTTO IL BATTAGLIONE a correre, tutti, ma proprio tutti, compresi furieri, armiere, piantoni, e Lui in testa.
Il primo giorno che arrivò fece un lungo discorso al Battaglione. Per chi ha vissuto la Folgore negli anni novanta, un discorso tipo Generale Celentano. Ordinò un minuto di silenzio all'intero Battaglione nel ricordo di chi era caduto Combattendo per la Patria.
Dopodichè cacciò via a malo modo un Maresciallo che gli disse "si muova comandante, dobbiamo fare rapporto" e lui: "MA NON LO VEDI CHE STO PARLANDO DAVANTI A 400 PARACADUTISTI?"
Reintrodusse all'alza bandiera l'urlo "QUINTO!" e tutto il Battaglione gli rispondeva: "FOLGORE!!!"
Il Maggiore era una persona preparata sotto ogni aspetto, non lasciava nulla al caso, specie nell'addestramento.
Usava uno stile di addestramento un pò all'americana, elevata preparazione fisica, corsa sia in tenuta atletica (tuta) che in stivaletti e mimetica, conoscenza delle armi e dell'equipaggiamento, ordine, disciplina. Ma quando voleva aveva anche la battuta facile. Siciliano di nascita, le sue battute erano una forza. Ti faceva sentire Paracadutista in maniera eccelsa. Lo incontrai qualche anno dopo essermi congedato in un ristorante vicino casa mia, la mia prima domanda fu "Comandante, cosa succederà adesso senza di lei? Il Battaglione si ammoscerà?" E lui rispose "bisogna non aver paura a farsi scrivere lettere anonime". Già, le lettere anonime.
Quando ero in servizio Il Comandante ne ricevette almeno un paio... nel Reggimento c'erano dei finti-soldati (alcuni senza brevetto di paracadutismo) in attesa di trasferimento, a cui non importava addestrarsi da Paracadutisti.
Essendo uomini senza palle scrivevano lettere anonime allo Stato Maggiore con contenuti che erano ben lontani dalla realtà. E lui, con il suo fare, sempre forte e gagliardo, ce le leggeva.
Scoprii la sua ulteriore grandezza di Comandante e stratega militare, come vedremo in seguito, in Kosovo.
Oggi è Colonnello Comandante del 186° Reggimento Paracadutisti Folgore ed ha Comandanto il contigente italiano Italfor XX in Afghanistan.
Il Maggiore arrivò i primi di Agosto, noi ci preparammo per il Kosovo tutto il mese ed anche a settembre. Ma proprio a settembre di quell'anno, il 2001, successe il fatto che cambiò il mondo ed anche la nostra missione in Kosovo: l'attacco alle torri gemello di New York il giorno 11.
Il 4 ottobre partimmo per il Kosovo. Il 186° era la "Task Force Falco", la base era situata nella città di Djakovika, una cittadina di maggioranza religiosa mussulmana nel sud-ovest del Kosovo a una settantina di chilometri da Pristina, la capitale dove era dislocato il Comando Americano.
Il Kosovo, come tutti gli altri stati del mondo dove vige caos, vista l'instabilità (o l'inesistenz) politica, era (e penso lo sia tutt'ora) una nazione nascondiglio per banditi vari, e tra questi, non potevano mancare cellule estremiste islamiche. Si operava di conseguenza, con il profilo d'allerta ai massimi livelli, proprio in conseguenza dell'attentato dell'11 settembre. Insomma, non era "la solita" missione nei balcani. Lo scenario internazionale, proprio in quei giorni, cominciava a complicarsi.
Si usciva dalla base sempre con elmetto e giubetto antiproiettili, ognuno di noi era equipaggiato il proprio SCP e 7 caricatori da 30 colpi l'uno.
Arrivato in Kosovo, visto che dovevo congedarmi subito dopo la fine della missione, espressi un desiderio al mio Comandante di Compagnia: uscire completamente dalla fureria e dedicarmi h24 alla causa operativa. Fui accontentato.
Non mi metto a descrivere tutte le operazioni, ne facemmo tantissime, due o tre alla settimana di varie entità, rastrellamenti, ricerche, confisca di armi, pattugliamenti con infiltrazioni in elicottero, pattugliamenti appiedati dentro la città. Tutto era molto elettrizzante, massima operatività, si lavorava spesso insieme all'UMNIK, la polizia multinazionale costituita dalla Nato.
Solo la guardia alla base era noiosa, ma qualcuno doveva pur sempre farla... per il resto il massimo che un Paracadutista potesse chiedere. Addirittura pattuglie notturne in assetto da combattimento nei boschi kosovari, sia appiedati che con i mezzi. Tutto svolto con la massima perizia, i campi erano stracolmi di mine antiuomo.
Ci occupavamo anche della sorveglianza delle minoranze Serbe nella città e di siti religiosi sensibili (Chiese e Cimiteri Ortodossi). Scortavamo le anziane serbe quando dovevano fare la spessa, sorvegliavamo le loro abitazioni 24 ore su 24. Loro ci ripagavano offrendoci caffè caldo e grappa in tutte le ore, comprese quelle notturne.
Operammo in condizioni climatiche ostili: il 20 dicembre c'erano -18 gradi e 1 metro di neve.
La nostra presenza ristabilì l'ordine, e diede manforte alle forze di polizia dell'UMNIK. Nel mese di Gennaio 2002, i ragazzi del Battaglione fecero un gran colpo: una pattuglia composta di fucilieri Paracadutisti catturò i due mandanti dell'attentato contro la nave americana nello Yemen nel 1999. I due terroristi erano ricercati dagli americani da 3 anni e vennero presi dai ragazzi del Battaglione nell'entroterra kosovaro in un operazione segreta condotta, come sempre, in maniera magistrale.
Si dormiva veramente poco, dalle 3 alle 5 ore al giorno. Ma a me non importava molto. Dovevo congedarmi e volevo essere protagonista in maniera assoluta. Nonostante il tempo impiegato a svolgere i servizi si faceva spesso attività fisica, il più delle volte con il Maggiore Aldo Z. in testa, e quando c'era molta neve si andava a correre con stivaletti e mimetica. Un soldato addestrato a certi livelli non si può permettere di "fermarsi". Il Maggiore Aldo Z. ci mandava in continuazione questo messaggio, e chi ci teneva, io ci tenevo, dovevamo dargli retta. La sua "mano" siLa XIII Compagnia Paracadutisti CONDOR in Kosovo vide anche in Kosovo. A parte la solita cura certosina di rendere i propri uomini sempre all'altezza, era un'amante delle tradizioni. Nel piazzale dove erano situate le Compagnie del Battaglione fece mettere un braciere con del fuoco. Lo chiamò "Il fuoco del Quinto". C'era un piantone 24 ore su 24 con il compito di non farlo spegnere fino alla fine della missione. Il bracere aveva un coperchio sulla parte superiore per resistere a neve e pioggia. Le pattuglie che uscivano in ricognizione si occupavano di portare la legna da ardere. Il Comandante "istituì" anche un nuovo servizio tattico: le pattuglie appiedate nei centri abitati. Per la Task Force, in passato costituita da altri Reggimenti, una novità assoluta. Lo si vedeva anche dalle facce dei kosovari quando ci vedevano passare schierati in formazione tattica lungo le strade.
Lo scopo era quello di individuare eventuali attività illecite. Si usciva in gruppi da 10-12, armi individuali, mitragliatrice Minimi in testa e alla fine, collegamenti con la base via radio.
Nel tempo libero, veramente poco, tutti a vedere le partite di calcio (solo la Roma...) o la TV italiana nella mia stanza, specialmente i ragazzi del 3° Plotone (Maresciallo Comandante in testa!). Mi ero portato un decoder satellitare con abbonamento "full calcio-cinema", ed avevo acquistato da un kosovaro una gigantesca parabola per 70 marchi (35 euro). Ad alcuni ragazzi della mia compagnia avevo portato il cavo dell'antenna nella loro stanza, ma erano costretti a vedere quello che vedevo io....la domenica sicuramente la partita della Roma !
Tuttavia, anche in quest'occasione, come nel G8, mi incazzai come una belva. Succedevano cose a livello tecnico-burocratico disarmanti. Ce ne sarebbero da raccontare, ma mi soffermo su due eventi: nei primi mesi di Dicembre si ruppe il gruppo elettrogeno che dava corrente alla base per un sovraccarico. L'intera base aveva un'assorbimento di corrente di 450kw, il gruppo ne poteva sostenere solo 400. Era costato all'amministrazione militare 800 milioni di lire. con 50 in più ne avrebbero comprato uno da 500kw con buona pace per tutti. E va bene, sbagliare è umano, perseverare è diabolico. Nessuno dall'Italia si preoccupò di mandarci un nuovo gruppo. In un primo momento con piccoli gruppi si riuscì a tamponComponenti del 3° Plotone alla base di Djakovica, io sono quello in tutaare le emergenze, prima fra tutti l'illuminazione della base, successivamente con enormi sforzi da parte dei nostri Comandanti si riuscì a recuperare qualche piccolo gruppo elettrogeno nelle altri basi italiane nel Kosovo, ma questo non bastava a garantirci la corrente necessaria per le stufe elettriche. Morale della favola: passammo due mesi da inferno, alloggiavamo in corimec di ferro circondati da neve e ghiaccio senza riscaldamento! Anche in questo caso, le istituzioni ci avevano abbandonato.
Penso anche che nessun soldato del mondo avrebbe operato con la nostra efficienza in quelle situazioni.
Tuttavia siamo figli di soldati che 60 anni fà combatterono contro forze enormemente superiori in condizioni avverse.
E non potevamo farci intimorire dalla mancanza di riscaldamento.
Nonostante le difficoltà e le avversità riuscimmo a disimpegnare i compiti assegnati con elevata professionalità e competenza.
E ancora: l'illuminazione notturna della base era costituita da un potente impianto di luci dato in appalto ad una società privata Italiana: con il tempo si fulminarono metà delle lampade, la base di notte era quasi completamente oscurata. Nessuno poteva intervenire visto che non era di competenza militare, mettendo così a repentaglio la sicurezza dell'intera base. Ricordo che era rimasta senza illuminazione anche la parte della riservetta delle munizioni che dava sul lato est della base davanti a un palazzo di case popolari civili. I nostri Comandanti ovviarono a questo problema facendoci effettuare la guardia con dei visori notturni.
Come sempre lo spirito d'iniziativa del Paracadutista andò a sopperire le mancanze Istituzionali.
Ma ho anche ricordi extra-militari allegri del Kosovo, uno in particolare: un ricordo allegro per soli Paracadutisti...
25 dicembre 2001, cena di Natale al Reggimento nella mensa della base. Ero libero da ogni servizio e potei parteciparvi (chi era di servizio quel giorno avrebbe partecipato a quella di Capodanno). Il menù offriva deliziosi piatti a base di pesce e buon vino Italiano. Erano invitate alte rappresentazione della Brigata Multinazionale, compreso il Comandante, un Generale Bersagliere, ed altri ufficiali, sottufficiali e truppa di altri reparti non Paracadutisti. Il Quinto Battaglione era rappresentato da alcuni tavoli e vicinissimi a me, nello stesso tavolo, c'erano due ALTISSIMI UFFICIALI del Quinto Battaglione, che sconcertati dalla presenza di baschi neri nella mensa, Generale compreso, si guardarono negli occhi e intonarono il celebre ritornello... GIU' NELLA VALLE... C'E' UN FILO D'ERBA... e tutto il reggimento rispose: FANTE DI ... FANTE DI...., i fanti, rimasero sconcertati... sono cose che può capire, ed apprezzare, solo chi è Paracadutista.
Verso la fine di Gennaio ci preparammo al rientro.
Il Reggimento si organizzò nel seguente modo:i mezzi sarebbero stati imbarcati a Salonicco, quindi colonna militare fino alla Grecia con i mezzi guidati da chi aveva la relativa patente militare ed al fianco un capomacchina di grado superiore come vuole il Regolamento Militare. Per tutti gli altri rientro in aereo direttamente da Djakovika.
Io avevo la patente e dovetti guidare, insieme agli altri, prima fino alla Macedonia per 500km, poi fino alla Grecia.
Arrivati in Macedonia facemmo una soste di due giorni e nel bar stava per scattare una gigantesca rissa tra Romanisti-Paracadutisti e Napoletani-Fanti. C'era una sola tv con decoder satellitare, giocava nello stesso momento sia la Roma che il Napoli. L'intervento del Maresciallo Emiliano P., mio Comandante di Plotone e rappresentante più alto in grado dei Parà-Romanisti, evitò il peggio.
E ancora, il Caporal Maggiore Renzo M., grande amico, Paracadutista della XIII, rischiò di pestare il barrista macedone della base che lo accusò di non aver pagato le pizze che aveva ordinato, dicendogli:"Italiano non fare furbo, tu pagare". La reazione di Renzo fu prima calma e diplomatica, aveva pagato le pizze e lo stava spiegando al tipo, ma visto che il macedone insisteva cominciando anche ad alzare la voce, il buon Renzo gli fece capire a modo suo che non era il caso, mettendo da parte per un attimo la diplomazia.
Il macedone capì e chiese scusa. A volte bisogna usare le cattive maniere per far capire anche i concetti apparentemente più facili.
Passati questi due giorni in Macedonia, la notte del 3 febbraio 2002 ci rimettemmo in marcia. 300km tutte di un fiato fino a Salonicco. Arrivato a Salonicco, a pochi chilometri dal porto, nostra meta, cominciai ad avere le allucinazioni, ero stremato, non ci eravamo mai fermati. Solo una leggera sosta alla frontiera Macedonia-Grecia. Arrivammo al porto di Salonicco alle 4 di mattina del 4 febbraio. Il più era fatto. Ma come sempre... quando hai a che fare con le alte sfere logistiche dell'Esercito Italiano, la sorpresa è dietro l'angolo.
Caricati i mezzi sulla nave, era arrivato il momento di rientrare in Italia. Dopo 4 mesi e 4 mesi la nostra missione stava per concludersi.
Ci venne a prendere, con 2 ore di ritardo, un pullman civile con autista greco che doveva portarci all'aeroporto. Il pullman si ruppe, ne venne un altro dopo un'altra ora, nell'intervallo ci diedero da mangiare panini orribili, i peggiori mangiati dalla mia vita, pane duro con all'interno alimenti non identificati. Ma non era un problema, eravamo Paracadutisti. E la storia diceva che dovevamo adattarci.
Finalmente all'aeroporto. Dov'è il nostro aereo?
Il nostro aereo non c'è. Nessuno sa dov'è. Erano le 14 del 4 febbraio 2002, eravamo all'aeroporto di Salonicco, lontani dal terminal, ma ospitati in un capannone, vicino a una pista di decollo, gestito da militari italiani logisti. Eravamo consumati, stressati, stanchi, affamati. I nostri Comandanti ci autorizzarono ad andare al terminal dell'aeroporto, non si poteva, eravamo armati in un paese regolarmente governato, ma capirono la situazione, organizzammo dei piantoni a turno che custodivano armi individuali ed equipaggiamenti e andammo a bere e mangiare qualche schifezza locale pagando, ovviamente, con i nostri soldi personali.
Bevemmo decine di bottiglie di birra, anzi, per dirla tutta bevemmo tutte le birre disponibili nel piccolo bar.
Alle 18, un lampo, un miracolo, dopo ore di attesa, arriva il nostro aereo. Un colpo di fortuna, un boeing di una nota compagnia di volo Italiana, un volo di linea.
Avevo già effettuato lunghi voli (Italia-Kosovo) con aerei militari sia G-222 che C-130. Non li consiglio a nessuno, in quella situazione sarebbe stata un'ulteriore mazzata. Ma come tutte le cose, dicevamo, dalla nave del G-8 al resto, il servizio è incompleto. Dovemmo caricare con le nostre braccia gli zaini e tutto il materiale nella stiva dell'aereo.
Allora domando, ma l'Esercito stipula contratti con compagnie aeree civili incompleti? E ancora, l'aereo era un porcile, il Comandante ci chiese "scusa", disse che purtroppo non c'era stato il tempo per pulirlo. Penso che nel contratto Compagnia di volo-Esercito sia compresa sia la pulizia del velivolo, che il caricamento dei bagagli. Come sempre, a pagarne, fummo noi. A quel tempo non ci feci caso, ormai avevo deciso di congedarmi, ma voglio ricordare a tutti che i soldi che spende l'Esercito sono i soldi di noi contribuenti.
E personalmente pretendo che i miei soldi, quelli mi vengono tolti con le tasse, siano ben spesi, non regalati.
Ma evidentemente c'è qualcosa che non funziona nelle alte sfere militari. Questo se lo avete ben capito, è stato il motivo che mi ha portato a congedarmi e a separarmi dall'amata Brigata Folgore. E' stato come lasciare una donna che ami. E' stato doloroso, ma secondo il mio punto di vista, inevitabile. Non ho voglia di farmi prendere in giro dagli ufficiali di Commissariato dello Stato Maggiore, che seduti su una poltrona in pelle e con una pancia che gli tocca la scrivania si occupano, per esempio, dell'equipaggiamento di un soldato quando non sono mai stati soldati. L'esercito Italiano fino al 2002 aveva una fornitura di gibernaggi da cabaret. E tante, tante, tantissime, altre cose. Vengono spesi una montagna di soldi per la Difesa, ma in maniera sbagliata. Navi carrette, voli civili con servizi incompleti, gruppi elettrogeni non adatti, equipaggiamenti carnevaleschi.
Oggi, a detta dei miei amici che sono ancora in servizio, molte cose sono cambiate (in meglio). Spero che le cose migliorino ulteriormente in futuro.
4 febbraio 2002, l'arrivo a Siena e l'ultimo mese da militare
Arrivati a Siena verso le 22 del 4 febbraio 2002 restituimmo armi e caricatori. La missione era realmente finita.
Una missione termina quando l'ultima arma rientra in armeria.
Noi pulimmo le nostre armi, ricontammo uno per uno i 210 colpi dei nostri colpi e rinconsegnammo il tutto.
A Siena trovammo una sorpresa, anzi due: le donne militari e i termosifoni!
Entrambe una novità. Le donne erano appena state abilitate nell'Esercito, quattro nella nostra compagnia, ma la novità più eclatante erano i termosifoni. E sì, avete ben capito, la truppa a Siena per decine di anni ha vissuto ed alloggiato in ambienti glaciali.
Peccato però che dovevo congedarmi, niente donne, e, soprattutto, niente termosifoni.
Andai il licenza il giorno dopo, 40 giorni. Visto che dovevo andarmene dovevo usufruire di tutti i giorni rimasti e le ore di recupero che avevo accumulato. Rientrai però dopo una settimana per una mezza giornata, dovevo ritirare il "mio" VM al porto di Livorno e portarlo alla Caserma Bandini, sede del 186° Reggimento. Potevo tranquillamente rifiutarmi, ma volevo contribuire alla causa Paracadutista fino alla fine.
Qualche giorni prima del mio rientro in Caserma,una notizia spezzò il cuore a tutto il Reggimento, e alla XIII in particolare: Simone Trudu, 22 anni, Caporal Maggiore del mio scaglione, stesso corso a Cesano e Pisa, 5 numeri di brevetto dopo di me, compagno di sangue e sudore della XIII Paracadutisti Condor è morto in un incidente stradale vicino casa sua, in Sardegna, nei pressi di Oristano. Ero legatissimo a Simone, uscivamo spesso insieme nel tempo libero, nel periodo iniziale veniva sempre a casa mia il week end, visto che per lui era impossibile andare a casa con facilità abitando in Sardegna. Voglio ricordarlo come un Valoroso Soldato, Orgoglioso Paracadutista e Grande Amico.
Rientrai il 15 Marzo, il 23 salutai i ragazzi e i Comandanti, consegnai l'equipaggiamento al magazzino di Compagnia e il tesserino militare in maggiorità.
Ero tornato, dopo tre anni, un civile.
Mi sentii leggero come una piuma, ma con il tempo scoprii che i valori che avevo incontrato dentro le mura di quella Caserma, fuori non c'erano, anzi, non esistevano. Erano un'esclusiva della famiglia Paracadutista.
Per qualche anno continuai a sentirmi con tutta la Compagnia, poi mi staccai per impegni di lavoro, oggi la potenza della rete e dei social network in particolare mi hanno permesso di riavvicinarmi e ritrovare tutti.
Nonostante gli anni passino, i ricordi restano indelebili e il ricordo di quegli anni vissuti con il batticuore e l'emozione ogni mattina quando urlavo insieme ad altri 600 Paracadutisti "FOLGORE!!!!", rimarrà per sempre dentro di me.
Con Stima e Gratitudine, orgoglioso e fiero di aver servito l'Italia in Armi nei Vostri Ranghi
Alessandro Generotti
Caporal Maggiore Paracadutista in Congedo
Prima di approdarvi, essendomi arruolato come volontario in ferma breve (VFB), ho effettuato un corso di 3 mesi presso l'85° Reggimento Addestramento Volontari "Verona" a Montorio Veronese (Verona), e due mesi di corso di specializzazione da fuciliere presso la Scuola di Fanteria di Cesano (Roma). Incontrai qualche ostacolo ad arruolarmi, ma lo superai.
In questi tre anni ho vissuto emozioni fortissime, ho conosciuto molti amici, con alcuni mi sento ancora, altri purtroppo, non ci sono più. Me ne sono andato per una scelta professionale, ma anche perchè, ad un certo punto, ero arrabbiato con l'Istituzione, colpevole, secondo il mio pensiero di allora, di averci abbandonato. Capirete meglio le mie motivazioni leggendo la mia storia militare.
Mi sento ancora oggi con i miei parigrado ed i miei superiori, ho una grande stima nei loro confronti.
Spero di non annoiarvi...si comincia:
La presentazione della domanda al distretto militare
Ho avuto un pò di problemi ad arruolarmi come VFB... nel giugno 1994 ho avuto un incidente in moto fratturandomi tibia e perone.
Dopo la visita di tre giorni (marzo 1995) il profilo sanitario dei miei arti inferiori era tre, condizione insufficiente per arruolarsi come volontario. Era necessario un due.
Sapevo di essere guarito, ma dovevo dimostrarlo ai medici militari per avere una rettifica sul profilo sanitario che mi rilasciarono a La Spezia tre anni prima. Il distretto militare di Roma, nel settembre 1998, mi mandò all'Ospedale Militare di Roma per effettuare le necessarie visite e la relativa rettifica.
L'esito, purtroppo, fu negativo. I medici militari presero la cosa alla leggera...forse neanche osservarono le lastre... probabilmente non se la sentivano di prendersi una tale responsabilità. La notizia mi distrusse moralmente. Volevo a tutti i costi arruolarmi nell'esercito, volevo a tutti i costi diventare un PARACADUTISTA DELLA FOLGORE. Ma non mi persi d'animo.
Chiamai un'amico maresciallo e mi disse che c'era un'ulteriore scappatoia: visto che il profilo sanitario era stato emesso dalla Marina Militare, potevo chiedere una visita militare presso di loro, ma questa volta, per evitare la definitiva bocciatura, dovevo munirmi di lastre dell'arto e di una dichiarazione di un ortopedico civile che certificasse la mia completa guarigione e l'abilitazione a qualsiasi attività sportiva. Così feci, portai tutta la documentazione, e mi rettificarono il profilo. Fu una grande vittoria.
Ora potevo arruolarmi. Portai subito, nella stessa giornata, la domanda al Distretto Militare di Roma con il nuovo profilo sanitario. Mi dissero subito che sarei partito a fine marzo 1999.
Il corso da Volontario all' 85° Reggimento "Verona"
24 marzo 1999. E' una data che non dimenticherò mai. La partenza in treno da Roma, l'arrivo alla stazione di Verona. Ricordo ogni attimo.
Viaggiai tutta la notte, arrivai al Reggimento la mattina verso le 10.30. L'impatto fu tosto, ma non sconvolgente. Ci insegnarono subito la disciplina militare, alcuni (molti) soffrirono questa cosa, io no, ero orgoglioso di impararla. In fondo lo avevo voluto io. Ed era quello che i nostri Comandanti ci dicevano sempre: "siete volontari, nessuno vi ha detto di venire quì"
Ebbi anche io momenti difficili da superare. Per più di due mesi non andai a casa, ma nessuno mi aveva ordinato di arruolarmi. Ricordo che inizialmente sentivo un leggero dolore alla schiena nello stare nel riposo alto e formale, era nulla in confronto all'addestramento che avrei vissuto nella Brigata Folgore...
Per mia grande fortuna trovai a Verona un'amico, un Caporal Maggiore Istruttore, Francesco Corsetti, ci conoscevamo da anni, frequentavamo la stessa comitiva nella stessa città, eravamo Grandi Amici. Nessun favoritismo, tra l'altro non era nella mia compagnia, ma un'importante aiuto psicologico. Per la prima volta mi trovavo lontano dalla mia famiglia senza poter contare su di loro. La mia svolta psicologica fu in una sua frase i primi giorni, mi guardò fisso negli occhi e mi disse: "Quando il gioco si fa duro, i duri cominciano a giocare". Oggi Francesco non c'è più, un incidente in mare ce l'ha portato via per sempre, vorrei ricordare il suo modo di scherzare e di sdrammatizzare nei momenti difficili. Senza di lui, sarebbe stato diverso.
Ero stato inquadrato nella V Compagnia "Cobra", una compagnia composta per la maggior parte da Bersaglieri, Alpini e fanti, nessun Paracadutista. Mio dio... anzi, a sentir parlare questi uomini, i Parà non valevano granchè... solo chiacchieroni. Avevo un sergente bersagliere che si sentiva Rambo ma non sapeva neanche leggere una cartina topografica, usciva in pattuglia stile scampagnata, senza armi, senza gibernaggio... viste le sue incapacità militari nella Brigata Folgore avrebbe pulito i cessi per tutta la vita. L'unica persona che ne sapeva di addestramento militare era un Volontario in servizio permanente degli Alpini, un ragazzo siciliano che era stato l'unico della mia Compagnia ad aver partecipato a missioni all'estero.
Mi adattai, aspettai il mio momento. Dopo una ventina di giorni arrivarono Loro, i selezionatori della Folgore. Si presentarono due Uomini, un Tenente RS, con un passato nelle forze speciali del Col Moschin, una drop tappezzata da brevetti esteri e missioni, ed un Maresciallo sullo stesso stile. Avevano una voce forte e decisa, fisici da atleti, due vere belve, nulla a che vedere con i Marescialli pancioni che avevo visto fino a quel momento. Non ricordo i loro nomi, ricordo che venivano da Pisa, guardavano noi volontari con la sguardo di uomini che vogliono adottare dei figli, e due occhi lucidi che vogliono dirti che se vuoi essere il migliore, devi andare da Loro. Ricordo anche che tutti all'interno del Reggimento, per due giorni smisero di parlar male dell'Eroica Brigata, bersaglieri compresi. Ci fecero vedere nella sala cinema di Reggimento un filmato sulla Brigata Folgore, dalla Battaglia di El Alamein fino agli novanta, soffermandosi sugli eventi più significativi, Somalia in primis.
Bene, quel filmato rafforzò ancor di più il mio concetto: Loro erano i migliori. Ed io dovevo andare da Loro.
Il giorno dopo selezioni fisiche. Corsa, salto in alto, flessioni, trazioni alla sbarra. Feci un certo sforzo a superarle tutte, non lo nego. Ma tenevo talmente tanto a quell'appuntamento che nei giorni passati mi ero allenato moltissimo.
Il resto della mia permanenza a Verona fu costellata da addestramento formale, ed un'a.i.c. (addestramento individuale al combattimento) da bambini. Pattuglie ridicole, mai letta una cartina topografica. Bisognava "fare numero" nell'Esercito, i VFB erano nati da poco, ancora esisteva la leva, quindi la politica era: facciamogli fare cose da bambini, così nessuno si fa male e lo Stato Maggiore è contento. Ricordo però un Capitano, Comandante della II Compagnia, un Paracadutista: faceva indossare ai suoi allievi gibernaggi con all'interno mattoni di terracotta, armi individuale per tutti, istruttori compresi (nella mia Compagnia per questi era un'optional a loro discrezione). E ricordo il Comandante di Reggimento che lo elogiò davanti a tutti all'alza bandiera: "Bravo Bruno, Bravo, è così che si addestrano dei soldati". Su quest'uomo, occhi celesti di ghiaccio, silenzioso anche con i propri parigrado, sempre pronto a rispondere al tuo saluto in modo militare, giravano incredibili leggende sul suo passato in Somalia.
Tuttavia le pattuglie che feci a Verona furono importanti per abituarmi al peso dello zaino... ricordo gli altri allievi che bestemmiavamo a destra e a manca, io invece rimanevo nel mio silenzio e nella mia sofferenza, sapendo che quel peso sulle spalle spesso insopportabile, era necessario per ben figurare nei ranghi della Brigata come Fuciliere. Perchè scelsi di fare il Fuciliere. E fui accontentato.
Il 21 giugno 1999 da Allievo VFB, divenni Caporale VFB. Incarico Fuciliere Paracadutista, destinazione Cesano (Roma), Scuola di Fanteria per il relativo Corso. Fu una bella soddisfazione, ma dovevo ancora sbarazzarmi del basco nero.
Il corso da Fuciliere alla Scuola di Fanteria di Cesano
Arrivai a Cesano, ma la situazione non era di molto migliore. Anzi, per certi aspetti, anche peggio. Lì però per volontà del Comandante del nostro battaglione, un Tenente Colonnello prossimo alla pensione che non voleva avere problemi. In compenso però trovai istruttori con il Basco Amaranto che fecero quello che poterono... tuttavia, ricordo, una straordinaria esercitazione di peace keeping condotta (ovviamente) da un Tenente Paracadutista, macchiata però dal grave ferimento in un occhio di un allievo colpito dal proprio colpo a salve infuocato uscito dall'otturatore della sua carabina.
La compagnia era formata da Caporali da addestrare per poi finire nelle diverse specialità dell'Esercito, bersaglieri, fanti della Sassari, Paracadustisti, ed altro...In quella compagnia però incontrai alcuni di quelli che furono i miei futuri camerati di Compagnia nella Folgore. Andrea R., Michele C., Carlo S., Cesare L., Luca Z., Emanuele T., Agostino P., Claudio S., Antonio T., Antonio M., Giuseppe M., Francesco C. e Simone T. (spero di non aver dimenticato nessuno!). Noi facevo "gruppo", noi un giorno avremmo sudato nel fango condotti da forti e carismatici Comandanti della Folgore, noi ci sentivamo, ed effettivamente eravamo, diversi.
Cesare L., Antonio M. e Claudio S. erano soldati di leva della Brigata Folgore che avevano fatto la domanda da VFB. Erano gli unici che avevano il Basco Amaranto, erano Brevettati, sapevano cosa volevano dire staccare i piedi da quel maledetto C-130. Per noi erano dei maestri, Cesare in particolare un fratello maggiore.
22 mesi di servizio solo ed esclusivamente nei ranghi della Brigata, non aveva mai indossato un basco nero, a Pisa era stato un A.I.P., istruiva soldati di leva a conseguire il brevetto da Paracadutista alla Scuola Militare di Paracadutismo (poi diventata Ce.A.Par.). Fisicamente era di un altro pianeta. Noi volevamo diventare come lui. Lui arrivò primo al Corso fuciliere, Andrea R. secondo, e poi io, e dopo tutti gli altri. Ero sul podio, ma soprattutto, i primi tre erano tutti destinati ai reparti Paracadutisti. Ricordo comunque validissimi soldati che poi sarebbero stati destinati alla Brigata Sassari, uno fra tutti, intelligentissimo, abile, astuto, forte: Stefano B.
L'addestramento di Cesano non era granchè... cosa vuoi imparare da un Comandante di Plotone Sottotenente di Complemento con 10 mesi di servizio ??? Cesano mi servì per riveder in maniera più frequente la mia famiglia, visto che vivevo a mezz'ora dalla caserma. Tutti i week end a Casa, e avevo (!) anche il posto in caserma per la mia automobile.
E arrivò anche quì il giorno delle destinazioni: c'era una leggenda che diceva che saremmo stati tutti destinati ai bersaglieri... perchè la garibaldi aveva esigenze di personale. Io giurai che se fosse successo avrei fatto domanda di proscioglimento. E l'avrei fatta veramente. Per fortuna però... era solo una leggenda.
Destinazione per noi aspiranti Parà: CENTOOTTANTASEIESIMO REGGIMENTO PARACADUTISTI FOLGORE. Uno dei reparti più tosti, operativi, incazzati e pluridecorati dell'Esercito Italiano.
Tutti noi a Siena, all'186, compresi i tre ragazzi già Paracadutisti. Il resto misti tra bersaglieri e Brigata Sassari.
Era il 2 settembre 1999.
L'arrivo al 186° Reggimento Paracadutisti "FOLGORE" di Siena
Il 3 settembre 1999 arrivai insieme agli altri a Siena presso il 186° Reggimento, facemmo un viaggio in treno pieno di speranze, racconti e pensieri su quello che avrebbe dovuto essere uno dei reparti più operativi in assoluto dell'intero Esercito Italiano. Anche i tre che erano con noi, nonostante già Paracadutisti, non avevano idea cosa significa entrare a far parte di un Reggimento del genere. Non avevano mai avuto esperienze operative, Cesare addestrava gli allievi al corso palestra, Antonio e Claudio erano stati ripiegatori di Paracadute.
Il 3 settembre appunto. Non fu il vero impatto con la Folgore. La vera Folgore, il BATTAGLIONE, quello dove vanno a finire i Fucilieri, i guerrieri, era fuori in Bosnia. La vera FOLGORE, quella tosta e incazzata, l'avrei vista più avanti. Ma era solo una questione di tempo...
Ci "parcheggiarono" nella Compagnia Comando e Servizi "Sorci Verdi", la Compagnia era strapiena, c'erano più di duecento persone, ma tutto sembrava essere sotto controllo, cosa che da altre parti, in casi del genere, sarebbe stato impossibile. Tutti i ragazzi che tornavano dalla missione venivano aggregati alla CCS. Quindi per noi non c'era posto... il BATTAGLIONE sarebbe ritornato tra due settimane.
Facemmo tredici: era venerdì, ci mandarono a casa per il week end, e il lunedì tutti a Pisa per il corso palestra a conseguire il Brevetto da Paracadutista. Fu una grande beffa per i ragazzi dello scaglione più anziano del nostro, si sarebbero brevettati dopo di noi!
6 settembre 1999, PISA, il Corso Palestra
Il Centro Addestramento Paracadutismo (ex SMIPAR) di Pisa era uno spettacolo: sembrava di essere in un Hotel a 5 stelle, si mangiava da paura, si faceva attività fisica tutta la mattina, addestramento teorico e pratico sull'utilizzo del Paracadute il pomeriggio. Aria allegra, ma era ovvio, stavi sempre nella FOLGORE: se sbagliavi venivi punito. Ordine e disciplina al primo posto.
E poi penso di aver avuto la fortuna di trovare un grande Comandante: il Colonnello Incursore Paracadutista Marco Bertolini.
Una leggenda delle forze speciali Italiane, Comandante del 9° Battaglione d'Assalto Col Moschin in Somalia, avevo conosciuto le sue gesta sui libri e su Internet, era stato colui che comandò fin dal primo giorno gli Incursori Italiani nel corno d'Africa e l'irruzione all'ambasciata di Mogadiscio il 16 dicembre 1992. Successivamente comandò il 9° Reggimento Col Moschin, e quindi la CeAPar. Nei tempi recenti è stato Generale Comandante della Brigata Folgore, e capo di stato maggiore ISAF in Afghanistan. Quando ti guardava negli occhi all'alza bandiera ti faceva sentir fiero di appartenere alla Specialità.
Tuttavia a Pisa c'era un'aria difficile che penalizzava fortemene le tradizioni Paracadutiste: un mese prima era morto un Allievo Paracadutista in circostanze non chiare, quindi era vietatissimo qualsiasi atto di nonnismo, fra cui le "pompate", quelle che i fanti chiamano le flessioni.
Bene il mio pensiero è che le pompate non sono un'atto di nonnismo, ma una tradizione, un qualcosa non puoi cancellare, un qualcosa che ha radici ardite e antiche, ed era, tra l'altro, un modo "facile" per irrobustire il fisico dei Parà.
Fatevi 20-30 pompate al giorno fuori programma e poi ne riparliamo...
Il Corso Palestra lo seguii come un studente modello... e così i miei amici. Era una selezione continua, la torretta, il telo, la corsa, le trazioni, le flessioni (pompate...), il salto in alto...
La Compagnia era formata da militari dei diversi Reparti della Brigata. Noi del 186° uscimmo tutti Brevettati, tranne due. Entrambi fecero lo stesso errore in falsa carlinga il giorno prima del primo lancio. Un errore gravissimo, forse il più grave, ossia quello di far passare la fune di vincolo sulla parte opposta alla mano che la sorregge. Lanciandosi in quel modo si rischia l'amputazione traumatica della testa staccandola di netto.
Bocciati, fuori, non esistevano appelli, i nostri istruttori tenevano sulla sicurezza in maniera dir poco esagerata. Giusto così.
Non solo, ritornare a Siena senza Brevetto non era davvero un buon biglietto da visita... successivamente solo Francesco C. riuscì a ripeterlo brevettandosi, mentre l'altro, non solo venne scartato nuovamente, ma si prosciolse perchè la Brigata non faceva per lui...meglio così.
A metà corso venimmo a sapere dal nostro accompagnatore a quale Compagnia del 186° eravamo stati assegnati: la XIII Compagnia Paracadutisti CONDOR, gli Inesorabili Rapaci. Una gloriosa compagnia, una delle poche esistenti schierate nella battaglia di El Alamein.
Le Compagnie fucilieri erano tre: la XIV Pantere Indomite, dove non potevamo finire, era un'esperimento del Comando Brigata, composta solo da Volontari in Servizio Permanente, un mix di Paracadutisti esperti, di uomini con anni di esperienza, poi c'era la XV Diavoli Neri, la Compagnia che pagò in Somalia il più alto tributo di sangue, avendo combattuto in prima linea il 2 luglio 1993 nella Battaglia del Check Point Pasta. Da una parte ci sentivamo più tranquilli, pensavamo "cavolo la XIII sarà più tranquilla...". Fu un grosso errore di valutazione.
4 Ottobre 1999, il primo lancio
Il primo lancio è come il primo rapporto sessuale,o il primo bacio, o quant'altro fai per la prima volta sapendo che stai scrivendo la storia della tua vita. Non capisci nulla. Fai tutto in automatico, e lo fai bene. Lo Zic-1, i Comandanti che ci dicono di prepararci, il C-130 che fa manovra, il suo rumore ti entra dentro come le voci di una donna che sussurra di voler fare l'amore con te. La salita sulla rampa, l'odore del Kerosene, è come se fossi in un film. E vai a cercare lo sguardo rassicurante di qualche compagno. Attimi indimenticabili.
E ancora... 5 minuti al lancio... prepararsi.... 1 minuto al lancio... ci si avvicina alla porta... 5 secondi alla lancio... alla porta: VIA!!!!
Lo slancio, 1000-1, 1000-2, 1000-3...arrivi a 1000-4...controllo calotta... qualche giro di avvitamento... e sei passato dal frastuono emesso da un aereo in volo con la porta aperta alla calma più totale. Sei tu, solo, con il tuo Irving 80 che ti fa galleggiare nel cielo.
Una soddisfazione enorme, un momento indimenticabile. La zona lancio fu quella quella mitica di Altopascio. L'atterraggio non fu male, anche se ti rendi conto che la capriola che fai in palestra a Pisa simulando appunto l'atterraggio, non riuscirai mai a farla...
Seguirono nel giro di un mese il secondo e il terzo lancio, il secondo sempre ad Altopascio, il terzo sulla zona lancio di Tassignano in mezzo a... polli e galline.
5 Novembre 1999, il rientro al 186° Reggimento Paracadutisti "FOLGORE"
Ed eccoci quà. Che nessuno si offenda, ma il vero contatto con la FOLGORE, quella vera, quella erede degli EROI che combatterono in Africa 60 anni prima, ce l'hai quando entri in un BATTAGLIONE.
A Siena c'era, e c'è, IL QUINTO.
Il 5° BATTAGLIONE PARACADUTISTI "EL ALAMEIN". Insieme al 2° Battaglione "Tarquinia" (inquadrato nel 187° RGT di Livorno), il Quinto era (ed è tutt'ora) l'unico battaglione esistente schierato nella battaglia di El Alamein che mantiene una formazione praticamente quasi inalterata rispetto ad allora.
Una storia gloriosa e ardita alle spalle, la più limpida ed importante, dal punto di vista militare, d'Italia.
Il Quinto Battaglione, agli ordini del Tenente Colonnello Giuseppe Izzo, nell'epica battaglia inflisse gravissime perdite agli inglesi con atti di puro e leggendario eroismo. Quella pesantissima eredità era tra di noi.
E pretendeva rispetto.
Nel 1999 era formato dalle tre compagnie fucilieri XIII, XIV e XV, mantenendo la stessa numerazione assegnata nel 1942, all'atto della fondazione e dello schieramento in Africa settentrionale, più una compagnia Mortai Pesanti, la Mo.Pe.. Il mio primo contatto con la XIII a livello psicologico fu traumatico. Sei l'ultimo arrivato, le luci sono soffuse dalle tele dei vecchi paracadute appese ai soffitti, disegni leggendari sui muri, massima formalità e disciplina anche tra marescialli e tenenti... mettici pure che sei un rospo... TENGO A PRECISARE CHE NESSUNO SI E' MAI PERMESSO DI ABUSARE DEL SOTTOSCRITTO, tutto quello che ci veniva imposto faceva parte del REGOLAMENTO di DISCIPLINA MILITARE.
Insomma, il regolamento veniva applicato alla lettera.
Non pensavo però che quell'ambiente grigio e cupo sarebbe diventato con il tempo la mia seconda casa, quei Comandanti duri e inflessibili, miei Padri, e i miei anziani miei Fratelli maggiori.
Era Venerdì, niente week end a casa, arrivammo nel tardo pomeriggio e non c'era il tempo materiale per le eventuali licenze. Il Sergente di giornata si preoccupò di equipaggiarci come doveva essere equipaggiato un Paracadutista: zaino americano "alice" con basto in ferro, elmetto in kevlar, e soprattutto gibernaggio americano... via quell'immondizia che ci forniva lo Stato Maggiore. La Folgore ha sempre agito in autonomia, adotta materiale di provenienza statunitense dal 1986. Contrariamente agli altri reparti dell'Esercito Italiano, i propri fondi li spende per equipaggiare al meglio i propri soldati.
I miei Comandanti, primo contatto
Lunedì 8 novembre. Conobbi Loro. I miei Comandanti. Mi limito a parlare di coloro che sono stati i miei Comandanti diretti, ma anche tutti gli altri sono stati uomini eccezionali.
Il Comandante di Compagnia era Francesco M., Capitano, sembrava che scherzava quando parlava, ma faceva terribilmente sul serio, intelligentissimo Ufficiale d'accademia, nella truppa era amato o odiato. Tuttavia non riesco a capire ancora oggi il perchè. Non esisteva, quando divenimmo "adulti", un Comandante di Compagnia che mandava in licenza i propri uomini tanti giorni quanto lo faceva lui. Ci faceva sgobbare... ma anche, e giustamente, riposare. Esigeva per tutta la Compagnia un forte addestramento fisico, corsa in particolare.
Curava molto anche la parte tecnica, sia teorica con lezioni in aula, che pratica con pattuglie e atti tattici offensivi\difensivi. Non improvvisava, programmava il nostro addestramento (e le nostre licenze) nel migliore dei modi.
Il suo vice, un giovane ma Grande Ufficiale, Antonio C., serio e razionale, poi scoprimmo che era molto alla mano, e la battuta allegra la lanciava spesso. La sua battuta "ciacalas o ciculus?" è un piacevole ricordo di un Comandante serio ed allegro al punto giusto. Capitava spesso di incontrarlo nei Pub di Siena, e ,sempre con la giusta formalità, si scambiavano due chiacchiere e una birra. Penso che avrà un grande futuro nell'Esercito, ovviamente nei Paracadutisti.
E poi i Comandanti di Plotone. Emiliano P, Comandante del mio Plotone, il 3°, di un solo anno più grande di me, divenne subito un maestro, e successivamente un grande amico, ma non esitava a tirarmi le orecchie (in senso metaforico) quando facevo qualche cazzata. Il Comandante di Plotone è quello più basso di tutti nella catena gerarchica Reggimento-Battaglione-Compagnia-Plotone, quindi era quello che conosceva meglio i propri uomini. Era estremamente formale, pretendeva l'attenti in ogni circostanza, esprimeva un'eccessiva romanità, allegro e scherzoso, era preparato al Top militarmente. Era, ed è tutt'ora, uno dei più grandi tiratori scelti dell'Esercito Italiano, fregiato del brevetto di Istruttore di tiratore scelti. Era un mix di allegria-serietà. Romanista sfegatato come me, mi faceva pagare cara questa pseudo-amicizia calcistica... Ha creduto molto in me, e io penso di averlo ripagato come dovevo. Oggi volge servizio in un Reggimento di forze per operazioni speciali.
Poi veniva lui... il Mito, il Maresciallo di Compagnia, Giuseppe P.. Grandi Capacità, Ideologicamente potrei definirlo "l'Uomo Folgore", sguardo duro come la pietra, appassionato ed esperto come pochi di arte militare e storia, tutti avevamo paura di Lui, poi però con il tempo capimmo che aveva un cuore grandissimo, o almeno io capii questo. Se facevi una cazzata prima di portarti dal Comandante di Compagnia ti faceva un discorso, cercava di colpirti dentro, cercava di farti capire, con le parole, che la Folgore andava rispettata, che non poteva permettersi di avere nei ranghi menefreghisti e finti Paracadutisti. Io capii questo da Lui. Aveva anche i suoi difetti, mai una battuta allegra, a volte esagerava, ma nel 99% delle volte aveva terribilmente ragione. Bisognava capirlo, prima di dire tra di noi "quello è matto". Era anche un' eccellente Combattente, nel Reggimento uno dei più preparati fra tutti. Era l'unico della mia Compagnia che in passato riuscì a superare il corso da Incursore al 9° Reggimento Col Moschin. Quindi, in mezzo al fango, o in un bosco, sapeva come sopravvivere, e questo cercava di insegnarlo a noi. A me personalmente insegnò molto.
E ancora, il Comandante di squadra, Maurizio Gallitto, mi permetto di fare il suo Cognome poichè non è più in servizio nell'Esercito. Volontario in Servizio Permanente, era uno di quelli che provenivano dalla leva Paracadutista, Basco Amaranto da sempre, aveva un cuore grandissimo, e una forza disumana. Non era grosso, alto poco più di uno e settanta, ma un passato da pugile professionista, le parole "dolore" o "sofferenza" erano termini che non facevano parte del suo vocabolario. In pattuglia non si toglieva lo zaino neanche quando sostavamo per riposarci. Era un grandissimo atleta e spesso ci faceva lezioni di educazioni fisica. Proveniva dalla XIV Pantere Indomite, i Paracadutisti per eccellenza in quel periodo.
Il primo discorso ce lo fece lui, il Maresciallo di Compagnia, Giuseppe P.: "Dimenticate Cesano, quì non siete ne a Cesano, ne a Pisa, quì dovete imparare ad essere dei Fucilieri Paracadutisti".
Pian del lago, Montagnola Senese, Pian di Spille... un mese intero di addestramento tosto e ininterrotto.
Il 21 novembre ci aspettava la MANGUSTA.
Prima di passare alla Mangusta però, vorrei ricordare gli altri superiori del Reggimento che non facevano parte della mia Compagnia, ma di cui ho un ottimo ricordo. Al 186° Reggimento vi erano uomini preparatissimi, alcuni ex Incursori, tra cui il Maresciallo R.B., ex operatore del Col Moschin, 9 anni nelle forze speciali in prima linea tra Somalia, Ruanda e Bosnia.
Mi raccontò il suo 2 luglio 1993,alcune fasi concitate della battaglia e dell'amicizia che lo legava a Stefano Paolicchi, Sergente Maggiore del 9° caduto in combattimento quel giorno a Mogadiscio, e di altre operazioni speciali che aveva effettuato al Col Moschin.
E ancora, negli ex operatori delle forze speciali del Col Moschin ricordo con piacere il Maresciallo S.C.. Fece parte del commando d'assalto che nel 1986 sarebbe dovuto intervenire sull'Achille Lauro.
"Loro" li riconoscevi dalla "cimice" del basco, avevano il fregio tradizionale ma all'interno, ne il numero del Battaglione, 5, nel quello del reggimento, 186, ma avevano il 9. 9° reggimento d'Assalto Col Moschin appunto. La loro enorme esperienza era messa al servizio di noi Paracadutisti convenzionali.
E ancora, la XV Compagnia aveva come Comandante un Grande combattente di razza, il Tenente R.C., decorato a medaglia d'argento al valor militare per i fasti del 2 luglio 1993. Ebbi la fortuna di scambiarci due parole. Come lui, e per lo stesso motivo, era stato decorato della stesso onorificenza, il Maresciallo G.B., un Grande Uomo, in quel periodo faceva parte del Comando di Battaglione, e vi rimase fino al mio congedo.
E poi tanti altri, molti di cui non ricordo il nome, ma forti e valorosi, come vuole la Tradizione Paracadutista.
Cominciai anche a conoscere le bellezze di Siena e della sua gente. A differenza di Livorno dove c'è una rivalità storica tra i Parà e i cittadini, il rapporto con i Senesi era ottimo. C'era un rispetto reciproco, tranne qualche episodio isolato. A Siena il Paracadutista era, ed è tuttora perfettamente inserito nel tessuto sociale. Senesi e Parà partecipano insieme a ricorrenze, feste e... sofferenze.
Poi per un giovane Siena era (ed è...) una vera manna dal cielo. La cittadina toscana è un importante centro universitario sia nazionale che internazionale, e le belle giovani donne di conseguenza non mancavano certo... Ricordo le serate al Barone Rosso, al Caffè del Corso, e all'Irish Pub, punti di riferimento per noi Parà. Fiumi di birra e discorsi in tutte le lingue...
Se eri giovane e carina e in quegli anni sei passata da quelle parti, avrai avuto almeno un contatto con un Paracadutista... non potevi sfuggirci, saresti stata una nostra preda.
20 Novembre 1999, la mia Magusta
Per chi è stato nella Folgore la Mangusta non ha bisogno di presentazioni. La Mangusta è un'esercitazione dove si sfidano 2 o più reparti, o compagnie, o gruppi tattici. Uno fa da interdizione, l'altro da controinterdizione.
20 Novembre 1999. Nell'entroterra toscano faceva terribilmente freddo.
Vista l'indisponibilità degli altri Reggimenti della Brigata (l'187 era Timor Est, la Nembo non ricordo dove, ma era fuori), ci fu la seguente dislocazione: XIV Pantere Indomite vs Resto del Reggimento.
Ossia una compagnia contro tre. Noi dovevamo controllare gli obiettivi senza avvicinarci eccessivamente, ci muovevamo con i mezzi, lasciavamo gli zaini, e pattugliavamo a piedi, sia di giorno che di notte. In 10 giorni avrò dormito non più di 20 ore...
Loro invece vennero infiltrati con aviolancio in una zona a noi sconosciuta. Le "Pantere" dovevano muoversi con zaini, armi e tutto il resto, dormivano di giorno, e camminavano di notte per sfuggire al nemico (noi).
Bhe, pensavo, li faremo a pezzi, 3 contro 1, loro avranno difficoltà a muoversi. E invece ci massacrarono loro.
Fecero tutti gli obiettivi, catturarono alcuni dei nostri, noi non riuscimmo mai a fermarli, trovammo solo qualche traccia durante i vari pattugliamenti.
Troppo forti, troppo esperti e preparati. Personalmente però, insieme a Maurizio Gallitto e Giuseppe M., riuscimmo a localizzare una loro pattuglia. Ci appostammo in un casale verso il tramonto, e a turno osservammo i movimenti con il visore notturno. Bene... scoprimmo che in quel caso si erano mossi usando un furgone civile. In fondo, in guerra è permesso tutto o no?
Certo, e quella doveva essere una simulazione di guerra. In più avevamo a che fare con il meglio delle forze convenzionali dell'Intero Esercito.
La XIV Pantere aveva, ed ha tutt'ora, i migliori soldati dell'Esercito Italiano, sia nei quadri che nella truppa, che a suo tempo era formata solo da Volontari in Sevizio Permanente. Gente che potrebbe tranquillamente ben figurare nelle forze speciali. Autentiche macchine da guerra, ricordo in particolare 3-4 elementi... li saluto, se si ricordano di me, Loro sanno che sto parlando di loro, i loro cognomi P., S., C..
Nella recente missione ISAF in Afghanistan questi Paracadutisti (esattamente i cognomi puntati che ho citato) sono stati la scorta del Generale Rosario Castellano, Comandante della Brigata Folgore. Un lavoro in passato svolto dagli Incursori del Col Moschin. Questo per rendere l'idea di chi avevamo a che fare.. .
La nostra era una Compagnia giovane, la truppa era "acerba". I nostri quadri erano preparatissimi, ma avevano a che fare con personale di truppa totalmente inesperto, tranne i VSP che erano si o no una decina. Quindi la debacle fu totale. Ma imparammo molto da quell'esperienza. Imparammo a condividere la roba da mangiare come si fa da veri soldati, imparammo a muoverci nella boscaia, le tecniche per non perdere le tracce di chi stai inseguendo, imparammo a... non sottovalutare il nemico.
C'era ancora molto da imparare, ma fu una gran bella esperienza.
Dicembre 1999, il battesimo del fuoco di gruppo, assalto di plotone a Pian di Spille
Il "pane" del fuciliere Paracadutista è indubbiamente l'assalto. L'assalto può essere di Squadra, Plotone, Compagnia (complesso minore), o Battaglione (gruppo tattico).
Archiviata la Mangusta ci aspettava l'assalto di Plotone. Provammo numerorissime volte a pian del lago, un posto nelle vicinanze di Siena. Poi ci recammo a Pian di Spille. Il primo giorno sparammo una grossa quantità di munizioni, sia con l'arma individuale (SCP), sia con quelle di reparto (Minimi ed Mg) e bombe a mano. Il giorno dopo, l'assalto.
L'assalto di Plotone è più complicato dell'assalto di squadra perchè tutte le 3 squadre devono sincronizzarsi nel fuoco-movimento. Misi il massimo impegno, anche perchè eventuali sbagli possono andare a scapito della sicurezza, si va a fuoco con armi da guerra, rischi di uccidere i tuoi compagni. Noi riuscimmo molto bene, tranne qualche problema con un arma di reparto che si inceppò. Comunque il Maresciallo Emiliano P. fece a noi i complimenti. Cominciavo a prendermi qualche soddisfazione.
Gennaio 2000, i lanci con la Compagnia fucilieri, tutta un'altra musica
C'era una voce di corridoio che diceva: a Pisa si lancia anche un sacco di patate, pasta buttarlo giù. Effettivamente quando mi trovai a lanciarmi con la mia Compagnia, la XIII, tutto era molto diverso: si effettuavano veri e propri lanci da guerra, con zaino, arma individuale o di reparto, possibilmente per squadra o plotone. Lo zaino, per regolamento (e sicurezza) non può pesare meno di 16kg. Se non ha un peso adeguato la fune a frizione rischia di non srotolarsi ed atterrare con lo zaino alice attaccato alle gambe non è una gran cosa... rischi di spezzartele, poichè oltre al peso e all'ingombro impedisce movimenti adeguati in fase d'atterraggio.
Feci 2 lanci in un giorno, uno la mattina, l'altro il pomeriggio. Ci imbarcammo a Grosseto la mattina, in un'aeroporto dove sfrecciavano caccia militari a pochi metri da noi. Il solito odore di kerosene, i soliti sguardi rassicuranti tra noi ragazzi. Dopo una ventina di minuti di "viaggio" sul G-222, ci lanciammo e ci reimbarcammo sullo stesso G che nel frattempo era atterrato ad Ampugnano. Altro lancio e pattuglia Ampugnano-Siena. Era il 17 gennaio 2000, ed avevo effettuato quarto e quinto lancio. Ora ero un Paracadutista militare a tutti gli effetti. Fregiai la mia drop con il brevetto con la stelletta al centro. Un altro punto importante della mia vita militare era stato raggiunto.
Nel frattempo il Capitano Francesco M. scoprì le mie doti informatiche, e mi "dirottò" in fureria. Insieme sviluppammo un importante programma di controllo del personale che in seguito venne adottato da tutte le compagnie. Ma ad onor del vero, dentro di me pulsava il cuore da Paracadutista fuciliere. Lui lo capì e cercai di alternarmi tra fureria e pattuglie.
Il mese di febbraio passò con numerosi poligoni, a marzo ci aspettava un'appuntamento importante: il complesso minore, l'assalto di Compagnia.
Marzo 2000, tra la neve di Carpegna, la XIII va all'assalto
Se l'assalto di plotone è un atto tattico offensivo difficile da preparare e da eseguire, quello di Compagnia lo è ancor di più, specie se devi operare in condizioni proibitive, ma secondo qualche nostro Comandante, se avremmo fatto buone cose in condizione avverse, con il buon tempo saremmo andati ancora meglio.
Passammo a Carpegna circa una settimana, tra poligoni, assalti di squadra e plotoni per chi non li aveva ancora fatti. Il 1° Plotone Comandato dal Tenente Luca D. fece addirittura l'assalto in un giorno, e il Complesso il giorno dopo.
Comandati dal nostro Grande Comandante di Compagnia Francesco M., il complesso minore che effettuammo fu spettacolare, vuoi per le condizione metereologiche, vuoi perchè eravamo una compagnia molto amalgamata. A dar man forte a noi "rospi" c'erano i VFB anziani ritornati da 8 (!) mesi di Bosnia in attesa di nomina VSP e, purtroppo, di trasferimento. Il canto degli MG fu straordinario, il bersaglio finale venne abbattuto anche da un razzo controcarro lanciato dal grandissimo Giuseppe Sagliocco, Caporal Maggiore con quattro anni di esperienza solo e sempre nella Brigata (ex parà di leva), oggi in congedo. Quel giorno corse e sbalzò per centinaia e centinia di metri con il Panzerfaust sulla spalla destra (andate a vedere quanto pesa un lanciarazzi panzerfaust...) sulle collline di Carpegna.
Tutto, o quasi, funzionò alla perfezione, e ,dato importante quando vanno a fuoco 100 persone contemporaneamente, nessuno si fece un graffio. Come sempre, d'altronde. Segno che l'insegnamento dei Comandanti era stato recepito in maniera perfetta dalla truppa.
Primavera 2000, preparazione e partenza per l'Albania
A fine marzo ci comunicarono che avremmo passato l'estate del 2000 in Albania e cominciammo a prepararci.
Nonostante la missione si presentava "facile", nulla, come vuole la tradizione Paracadutista, venne lasciato al caso. Poligoni, azzeramento delle armi, esercitazioni di peace keeping e partenza scaglionata da metà giugno. Era la nostra prima missione, e noi ragazzi nuovi, la sentivamo molto. Facemmo tutti un ottimo lavoro.
Tutto il Reggimento, dalla CCS al Battaglione, fece un gran figurone, e non potrò mai dimenticare i complimenti del Comandante della Brigata Comm-Zone West, Generale Casalotto. Era un Alpino, ma si complimentò con il 186° per l'elevata efficienza messa in atto durante i quattro mesi, era letteralmente "innamorato" in senso militare, di noi. Tutti i Generali, anche stranieri, che venivano a trovarci alla base di Ure, nelle vicinanze di Durazzo, si complimentavano con noi. A livello operativo si facevano per lo più ricognizioni di itinerari con rientro in giornata, sorveglianze alle basi, e una sorveglianza all'ospedale militare di Durazzo dove venivano ricoverati anche civili albanesi, specialmente bambini.
Il Reggimento aveva anche il compito di addestrare i militari dell'Esercito Albanese. Mandarono i nostri migliori VSP ad insegnare loro le tecniche di combattimento dei soldati di fanteria. E ancora, facemmo una spettacolare esercitazione di assalto in un lago con dei gommoni. Il Generale Casalotto, Comandante della Brigata che operava in Albania ci battè le mani. Era talmente colpito dalla preparazione dei Parà che a fine missione mandò a casa Carabinieri e Fanti che gli facevano da scorta chiedendo al nostro Comandante una decina di Paracadutisti per proteggerlo. La nostra Compagnia fornì Emanuele M., Volontario in Servizio Permanente, ovviamente uno dei migliori della XIII. Per lui oltre ai quattro mesi di missione con noi, ce ne sarebbero stati altri sei come scorta del Generale.
Dal punta operativo la missione offriva le pattuglie di ricognizione a lungo raggio, fino a prima del nostro arrivo esclusiva delle forze speciali.
Io ne feci una, denominata operazione "Notte di mezza estate", durò 4 giorni. Si partì l'11 luglio. Andammo a ricognire una parte del confine tra Montenegro e Albania. Posti che non esistevano neanche sulle cartine. La notte alloggiavamo in spazi aperti e nascosti, di giorno si camminava, si scattavano fotografie e riprese video. Il compito della missione era anche di localizzare le caserme dell'Esercito Albanese, fotografare segretamente, nei limiti del possibile, mezzi e uomini . Quei dati sarebbero serviti alla Nato per vedere effettivamente a che punto stava l'opera di ricostituzione dell'Esercito Albanese andato a pezzi dopo la guerra civile. Il secondo giorno effettuammo un'elirifornimento. Trovata la ZAE (zona atterraggio elicottero) stabilimmo le coordinate e le comunicammo all'elicottero. La ZAE era un quadrilatero dalle grandezza di un campo da calcio in una distesa piana ai piedi di una collina in una zona sperduta. Due Paracadutisti per lato garantivano la sicurezza. L'elicottero toccò terra e scaricò materiale da mangiare e casse d'acqua, dopodichè volò subito via. Visto che la roba da mangiare era molta, i nostri Comandanti decisero di distribuire buona parte degli alimenti alla popolazione civile albanese che in quel posto viveva in condizioni non proprio ottimali. Distribuimmo dolci, pasta, farina e pane a donne e bambini. Un atto nobile, come sempre, figlio dell'iniziativa Paracadutista.
A fine Agosto la nostra Compagnia si trasferì dalla base di Ure a quella di Puke, verso il confine con il Kosovo. L'ultimo mese della missione lo avremmo trascorso lì. L'ambiente era più rilassante, eravamo più autonomi, ma non per questo meno attenti. C'era un servizio, quello di controllare personale sospetto al confine tra Albania e Kosovo, che una volta terminato permetteva a chi lo aveva svolto di oltrepassare il confine ed essere ospitato dai soldati tedeschi in Kosovo per una notte. Ho effettuato un paio di volte quel servizio, e ho alloggiato un paio di notti dai tedeschi. Nonostante l'Esercito tedesco sia stato fortemente ridimensionato dopo la seconda guerra mondiale, oggi è un signor Esercito. Come qualità il migliore che ho visto. La loro base era un modello assoluto di bellezza, efficienza, pulizia ed altro. Postazioni MG ai quattro lati, ronde di soldati in movimento, armi automatiche evolutissime, tute da combattimento di altissima qualità, radio ultramoderne, mensa funzionante 24 ore su 24, moduli abitativi di un'altro pianeta rispetto ai nostri... con tanto di TV satellitare individuale compresi quelli degli ospiti... ricordo una battuta di un parà italiano: "neanche casa mia in Italia è così" .
A fine settembre tornammo ad Ure e qualche giorno dopo rientrammo in Italia.
L'esperienza di quella prima missione rese tutti più responsabili, per la prima volta ci trovavamo custodi di armi con caricatori e quando uscivamo quelle armi erano cariche (chiaro, senza colpo in canna) nelle nostre mani. Ritornammo agli inizi di ottobre, e facemmo una lunga e meritata licenza di 20-30 giorni, ma alcuni componenti della Compagnia vennero richiamati per aiutare la popolazione toscana nel disastroso alluvione che colpi la zona di Lucca. Come sempre il loro contributo fu talmente apprezzato che il sindaco di una città soccorsa ringraziò la Folgore con una targa.
Dicembre 2000, un Complesso minore senza precedenti.
Nel frattempo, era cambiato il Comando di Battaglione, era arrivato il Tenente Colonnello Massimo M., molto legato alla XIII, l'aveva Comandata in Somalia. Era un ottimo Comandante, preparatissimo, un grande stratega militare, esperto di Intelligence ed eccellente comunicatore.
E ancora, al 186° c'è stato un Ufficiale, tale Aldo Z.., ci dui parlerò più avanti. In questo periodo il Maggiore Aldo Z., se ben ricordo, faceva parte del Comando Brigata all'ufficio OAI (operazioni, addestramento, informazioni). In più arrivò quello che per me è stato il miglior Comandante di Reggimento al 186°, Colonnello Maurizio F..
Il mix di questi tre ufficiali ci portò ad un'assalto di Compagnia, complesso minore, senza precedenti.
Il teatro d'operazioni prescelto era Capo Teulada, un'imponente poligono militare (decine di ettari di colline e distese piane che si affacciano sul mare) nel sud della Sardegna. I plotoni che formavano la Compagnia erano tre. Il 1° e il 2° arrivarono in Sardegna in traghetto, uno si sarebbe infiltrato via mare con dei gommoni, l'altro via terra con i VM, il 3° invece si sarebbe imbarcato su un C-130 a Pisa e aviolanciato nelle vicinanze dell'obiettivo. Ai tre plotoni erano stati dati punti d'infiltrazione lontanissimi. E tutti e tre avrebbero dovuto fare una lunga pattuglia topografica per ricongiungersi e riformare la Compagnia che poi sarebbe andata all'assalto.
Io, che facevo parte del secondo, mi infiltrai via terra con il resto dei miei compagni. Costeggiamo il camping di Teulada lungo la strada statale, ci avvicinammo alla zona di infiltrazione, scendemmo dai mezzi ed entrammo nel campo d'esercitazione tagliando con delle tenaglie la recinzione. Tutto questo nel massimo silenzio. Eravamo nel più totale assetto da combattimento. Gibernaggi israeliani, zaini stracolmi, armi di reparto adattate all'utilizzo individuale, abbigliamento stile SAS nel deserto iraqeno. Camminammo di notte per due giorni, riposandoci di giorno occultati nella boscaglia. Durante la notte ricevemmo azioni di disturbo con flash bang e colpi a salve da parte di un ipotetico nemico, ma nessuno riuscì a scovarci.
Il giorno 22 dicembre i tre plotoni si congiunsero sulla cima di una collina, con i binocoli i Comandanti di squadra osservarono l'obiettivo da attaccare il giorno dopo, riferendo i dettagli alle rispettive Squadre. La sera, mentre eravamo in bivacco, ascoltai il derby Lazio-Roma con il mio cellulare spendendo 40 mila lire di telefono... insieme al mio inseparabile amico Fulvio R.. l'autogol di Paolo Negro fece sobbalzare noi e il nostro Comandante di Plotone, solo che noi distruggemmo il bivacco fatto con tanta cura durante le ore diurne. Dovemmo rifarlo al freddo e senza luce... ma la fede è fede e la Roma si stava avviando alla vittoria del suo terzo scudetto.
Il 23 mattina ci incamminammo in assetto tattico e defilato verso l'obiettivo. Nessuna prova in bianco, nessuno di noi lo conosceva, solo i nostri Comandati lo avevano osservato con il binocolo. Anche loro, compreso il Comandante di Compagnia, avevano solo ed esclusivamente le coordinate geografiche.
L'azione fu straordinaria. Vennero lanciati dei fumogeni come azione di disturbo, noi non conoscevamo la zona ed eravamo sotto stress avendo mangiato e dormito pochissimo in due giorni. Con queste componenti la simulazione fu quanto più possibile vicina alla realtà. Mancava solo il nemico. Tutti rimasero stupiti della riuscita dell'esercitazione, si presentò, nel briefing dopo la missione, oltre al Comandante di Battaglione e Reggimento, un ufficiale del Comando Brigata, Capitano R., che ci disse testualmente che nessun reparto di fanteria, per ovvi motivi di sicurezza, aveva effettuato una simulazione del genere, nessuno, ad eccezion fatta per le forze speciali, aveva mandato all'assalto con munizioni vere e bombe a mano 100 uomini senza effettuare una prova in bianco, e in alte condizioni di stress e stanchezza fisica. Secondo gli ufficiali, quello era il vero addestramento che doveva effettuare un reparto di Paracadutisti. Infiltrarsi dietro le linee nemiche ed effettuare azioni offensive e sabotaggio sotto stress fisico e mentale. Come dargli torto?
Tutti i Paracadutisti del mondo sono stati creati per questo.
2001 prima parte, squadra notturna, lanci e il G-8 di Genova
Nella prima parte dell'anno 2001 effettuammo tantissimi poligoni, veramente tanti, in particolare ci addestrarono a sparare di notte. Ad Aprile facemmo l'assalto di squadra e plotone notturno. Se un atto tattico offensivo diurno presenta difficoltà sul termine della sicurezza, figuriamoci quello notturno. Ma come sempre, vista la preparazione dei nostri Quadri che ci addestrarono a dovere, facemmo le cose nel miglior modo possibile.
A maggio cominciammo a prepararsi per l'evento dell'anno: la Folgore sarebbe stata impiegata al G-8 di Genova per sorvegliare l'aeroporto della cittadina ligure, e in particolare, gli aerei dei Capi di Stato. Era un qualcosa di nuovo per noi, l'atmosfera era elettrizzante, ci preparammo al meglio, alternavamo lezioni di tiro al poligono e addestramento antisommossa con scudi, manganello ed elmetto. L'aeroporto era considerato zona rossa. Vennero Ufficiali e Sottufficiali dei Carabinieri a farci lezioni teoriche sui movimenti politici extraparlamentari considerati violenti e sulla situazione che avremmo incontrato. Per i nostri Comandanti era un'occasione importante per dimostrare alle Istituzioni la nostra bravura anche sul territorio nazionale. Tutti ci tenevamo. E come sempre, nel rispetto del nostro Nome, ci addestrammo alla grande per due mesi consecutivi.
I primi di Luglio, prima di partire per Genova feci 4 lanci nel giro di due settimane, tutti in assetto da Combattimento, e con pattuglia topografica Ampugnano-Siena al seguito.
Tuttavia l'operazione G-8 fece sorgere dentro di me un'avversità nei confronti delle Istituzioni e di coloro che gestivano, su una poltrona allo Stato Maggiore, i militare dell'Esercito, e in particolare Noi Paracadutisti.
Arrivammo a Genova verso la metà di Luglio, penso fosse il 14 o il 15, di notte per evitare contestazioni politiche.
I no-global erano ovviamente contrari alla presenza della Folgore. Ma la nostra nave, dove avremmo dovuto alloggiare per motivi di sicurezza, non era ancora arrivata. Decisero così di portarci temporaneamente in una nave dove alloggiavano i Carabinieri Paracadutisti Tuscania. Il pomeriggio entrammo dentro Genova scortatissimi da Carabinieri, un'auto dietro, una davanti, una moto a destra, e una a sinistra, sirene a manetta, non ci si fermava neanche con il semaforo rosso. Il pullman che ci portava aveva in bella vista la scritta BRIGATA PARACADUTISTI FOLGORE sui fianchi. E gli amici no-global davvero non ci amavano, dovevamo fare 6-7 km di strada passando dentro Genova, dal molo delle acciaierie della Ilva, fino alla parte opposta del porto. Farlo senza scorta sarebbe stato un rischio enorme.
Subito ci "parcheggiarono" su una bellissima nave da crociera Egiziana. Facemmo due giorni di vacanza, mangiammo da signori, ci divertimmo veramente, un Parà della XIV si scontrò anche con un Carabiniere Parà dei Tuscania,un Tenente tosto e grosso... il nostro Parà (grande amico... una Pantera "DOC" nome in codice 7 D... ciao spero tu stia bene) era una belva e stava per finir male, beh ve la racconta tutta, sembra che 7D avesse bevuto un goccetto di troppo ed era insieme alle altre "storiche" Pantere ad assistere ad uno spettacolo di ballerine nella discoteca della nave, cominciò a tirar noccioline in testa alle persone davanti a lui e prese in testa a un Tenente dei Tuscania, che non mise davanti il grado, ma gli fece il segno con la mano "ti taglio la gola". Beh, forse il Carabiniere avrebbe dovuto dirgli "ti porto dal tuo Comandante di Compagnia e ti becchi sette giorni", ma evidentemente non sapeva che aveva a che fare con una Pantera... che appunto reagì da Pantera... per fortuna i compagni dei due calmarono le acque e tutto finì con un brindisi collettivo... due che hanno il Basco Amaranto non possono farsi la guerra.
Dicevamo si stava bene su questa nave. E sì, ballerine, ottima cucina, sale giochi, due giorni di assoluta libertà. Si stava talmente bene che ci tolsero due giorni di licenza, oserei dire, giustamente. Nessuno ebbe da ridire. Come avete capito però era una sistemazione provvisoria. Intanto si diffuse una voce: la nostra nave ha qualche problema di motore, sembra che sia stata trainata da dei rimorchiatori, arriverà presto.
Effettivamente arrivò la nave. Qualche problema di motore???? La nave era stata affittata per una settimana dallo stato Maggiore per 3 miliardi di lire che erano finiti nelle tasche di un armatore greco, il proprietario appunto.
Questo ci fu riferito da un ufficiale del Comando Brigata, cui oggi ricordo ancora Grado, Cognome e Nome.
La nave non aveva problemi di motore, ma era una carretta del mare, ferma da 15-20 anni. Dai tubi dei bagni usciva acqua con ruggine, al sistema di aria condizionata mancavano i filtri, così se l'accendevi respiravi l'aria puzzolente e gravosa per la salute emessa dalle cappe delle acciaierie Ilva. Il ponte e il corridoio erano nel più totale stato di abbandono, i vetri del ponte di comando rotti, immondizia ovunque.
Questo era il posto che lo Stato Maggiore dell'Esercito Italiano aveva destinato ai Paracadutisti del 186° Reggimento per il servizio da svolgere al G-8. Evidentemente qualcosa non funzionava nella catena gerarchica delle alte sfere dell'Esercito. I nostri Comandanti non poterono fare nulla, si adattarono come noi, tra l'altro anche loro dovevano dormire e mangiare in quella fogna, quindi non avevano nessuna colpa.
Da veri Paracadutisti ci rimboccammo le maniche, e cominciammo il nostro lavoro.
Per quei giorni, ognuno di noi, aveva lo status speciale di Agente di pubblica sicurezza all'interno dell'aeroporto. Potevamo, e dovevamo, controllare chiunque girasse all'interno dello stesso. Potevamo se ritenuto opportuno, fermare qualsiasi persona senza il regolare permesso di transito o con documenti non regolari o sospetti. Facemmo un gran lavoro insieme ai ragazzi del 183°,185° e 187°. Personalmente ebbi la soddisfazione professionale di sorvegliare per due ore, il giorno 20, insieme ad un mio compagno, l'Air Force One, l'aereo del Presidente Americano George Bush. E proprio sotto l'Air Force One successe un fatto grottesco: nonostante le raccomandazione del nostro Comandante di Plotone, qualcosa girò per il verso sbagliato. Ancora non riesco a spiegarmi come è possibile tanta superficialità durante un servizio del genere. Un Parà della mia Compagnia fece la sorveglianza all' Air Force One con una piccola radio fm per ascoltare musica... la radio gli cadde e finì in un tombino della rete fognaria proprio sotto l'importante aereo. Ora, non ci vuole un'esperto di esplosivi per sapere che una bomba radiocomandata può essere comandata su frequenza modulata (fm)... ed era proprio quello che pensava il personale della sicurezza statunitense notando con il radar questa frequenza proveniente sotto l'aereo del proprio Presidente, e proprio nel primo giorno di un incontro delicato come il G-8.
Bloccarono l'Aeroporto, vennero chiamate le forze speciali americane, i Navy Seal e i Comsubin vennero fuori dal nulla (l'aeroporto di Genova è situato sul mare) gli incursori del Col Moschin schierati sul grattacielo dello Sheraton con carabine 12,7 misero il colpo in canna. Nessuno doveva entrare od uscire dall'aeroporto. Chiamarono il BOE (bonificatore ordigni esplosivi). C'è una bomba sotto l'aereo di George Bush. Ve lo immaginate? No era un film, ma era la triste e grottesca realtà. Per fortuna il Parà parlò e tutto tornò alla normalità, ma le urla del nostro Comandante di Plotone ancora riecheggiano nei cieli di Genova...
A parte questo fatto a dir poco incredibile, tutto girò per il verso giusto. Il Presidente Silvio Berlusconi, fece addirittura un fuori programma, fermò la sua auto diretta verso l'aero, scese e strinse la mano a una decina di Paracadutisti
Penso questo basti a far capire il modus-operandi che effettuammo a Genova. Lo schieramento dei Paracadutisti all'aeroporto ebbe l'effetto che si desiderava: incutere timore ai protestanti-violenti in modo da non farli avvicinare. In un'intervista in Tv un no-global disse chiaramente che non avevano intenzione di avvicinarsi all'aeroporto proprio perchè "lì c'è la Folgore, e questi, se si incazzano, ci sparano addosso". Effettivamente avevamo delle regole di ingaggio poco rassicuranti per chi voleva oltrepassare la linea rossa dell'aeroporto: se qualcuno salta la rete, fuoco.
2001 seconda parte, arriva "Il Comandante", Maggiore Aldo Z. e si va in Kosovo sotto il suo Comando.
Archiviato il G-8, subito a lavoro. Ad inizio Ottobre si va in Kosovo. Ma prima ce l'evento che ha reso ancor più appagante la mia esistenza da Paracadutista: ad agosto arriva a Comandare il Quinto Battaglione "El Almein", quello che io definisco Il Comandante per eccellenza, il Maggiore Aldo Z..
O lo amava o lo odiavi. Io lo amavo, i miei amici, alcuni lo amavano, altri lo odiavano. Con lui non si giocava con la divisa addosso.
La mattina TUTTO IL BATTAGLIONE a correre, tutti, ma proprio tutti, compresi furieri, armiere, piantoni, e Lui in testa.
Il primo giorno che arrivò fece un lungo discorso al Battaglione. Per chi ha vissuto la Folgore negli anni novanta, un discorso tipo Generale Celentano. Ordinò un minuto di silenzio all'intero Battaglione nel ricordo di chi era caduto Combattendo per la Patria.
Dopodichè cacciò via a malo modo un Maresciallo che gli disse "si muova comandante, dobbiamo fare rapporto" e lui: "MA NON LO VEDI CHE STO PARLANDO DAVANTI A 400 PARACADUTISTI?"
Reintrodusse all'alza bandiera l'urlo "QUINTO!" e tutto il Battaglione gli rispondeva: "FOLGORE!!!"
Il Maggiore era una persona preparata sotto ogni aspetto, non lasciava nulla al caso, specie nell'addestramento.
Usava uno stile di addestramento un pò all'americana, elevata preparazione fisica, corsa sia in tenuta atletica (tuta) che in stivaletti e mimetica, conoscenza delle armi e dell'equipaggiamento, ordine, disciplina. Ma quando voleva aveva anche la battuta facile. Siciliano di nascita, le sue battute erano una forza. Ti faceva sentire Paracadutista in maniera eccelsa. Lo incontrai qualche anno dopo essermi congedato in un ristorante vicino casa mia, la mia prima domanda fu "Comandante, cosa succederà adesso senza di lei? Il Battaglione si ammoscerà?" E lui rispose "bisogna non aver paura a farsi scrivere lettere anonime". Già, le lettere anonime.
Quando ero in servizio Il Comandante ne ricevette almeno un paio... nel Reggimento c'erano dei finti-soldati (alcuni senza brevetto di paracadutismo) in attesa di trasferimento, a cui non importava addestrarsi da Paracadutisti.
Essendo uomini senza palle scrivevano lettere anonime allo Stato Maggiore con contenuti che erano ben lontani dalla realtà. E lui, con il suo fare, sempre forte e gagliardo, ce le leggeva.
Scoprii la sua ulteriore grandezza di Comandante e stratega militare, come vedremo in seguito, in Kosovo.
Oggi è Colonnello Comandante del 186° Reggimento Paracadutisti Folgore ed ha Comandanto il contigente italiano Italfor XX in Afghanistan.
Il Maggiore arrivò i primi di Agosto, noi ci preparammo per il Kosovo tutto il mese ed anche a settembre. Ma proprio a settembre di quell'anno, il 2001, successe il fatto che cambiò il mondo ed anche la nostra missione in Kosovo: l'attacco alle torri gemello di New York il giorno 11.
Il 4 ottobre partimmo per il Kosovo. Il 186° era la "Task Force Falco", la base era situata nella città di Djakovika, una cittadina di maggioranza religiosa mussulmana nel sud-ovest del Kosovo a una settantina di chilometri da Pristina, la capitale dove era dislocato il Comando Americano.
Il Kosovo, come tutti gli altri stati del mondo dove vige caos, vista l'instabilità (o l'inesistenz) politica, era (e penso lo sia tutt'ora) una nazione nascondiglio per banditi vari, e tra questi, non potevano mancare cellule estremiste islamiche. Si operava di conseguenza, con il profilo d'allerta ai massimi livelli, proprio in conseguenza dell'attentato dell'11 settembre. Insomma, non era "la solita" missione nei balcani. Lo scenario internazionale, proprio in quei giorni, cominciava a complicarsi.
Si usciva dalla base sempre con elmetto e giubetto antiproiettili, ognuno di noi era equipaggiato il proprio SCP e 7 caricatori da 30 colpi l'uno.
Arrivato in Kosovo, visto che dovevo congedarmi subito dopo la fine della missione, espressi un desiderio al mio Comandante di Compagnia: uscire completamente dalla fureria e dedicarmi h24 alla causa operativa. Fui accontentato.
Non mi metto a descrivere tutte le operazioni, ne facemmo tantissime, due o tre alla settimana di varie entità, rastrellamenti, ricerche, confisca di armi, pattugliamenti con infiltrazioni in elicottero, pattugliamenti appiedati dentro la città. Tutto era molto elettrizzante, massima operatività, si lavorava spesso insieme all'UMNIK, la polizia multinazionale costituita dalla Nato.
Solo la guardia alla base era noiosa, ma qualcuno doveva pur sempre farla... per il resto il massimo che un Paracadutista potesse chiedere. Addirittura pattuglie notturne in assetto da combattimento nei boschi kosovari, sia appiedati che con i mezzi. Tutto svolto con la massima perizia, i campi erano stracolmi di mine antiuomo.
Ci occupavamo anche della sorveglianza delle minoranze Serbe nella città e di siti religiosi sensibili (Chiese e Cimiteri Ortodossi). Scortavamo le anziane serbe quando dovevano fare la spessa, sorvegliavamo le loro abitazioni 24 ore su 24. Loro ci ripagavano offrendoci caffè caldo e grappa in tutte le ore, comprese quelle notturne.
Operammo in condizioni climatiche ostili: il 20 dicembre c'erano -18 gradi e 1 metro di neve.
La nostra presenza ristabilì l'ordine, e diede manforte alle forze di polizia dell'UMNIK. Nel mese di Gennaio 2002, i ragazzi del Battaglione fecero un gran colpo: una pattuglia composta di fucilieri Paracadutisti catturò i due mandanti dell'attentato contro la nave americana nello Yemen nel 1999. I due terroristi erano ricercati dagli americani da 3 anni e vennero presi dai ragazzi del Battaglione nell'entroterra kosovaro in un operazione segreta condotta, come sempre, in maniera magistrale.
Si dormiva veramente poco, dalle 3 alle 5 ore al giorno. Ma a me non importava molto. Dovevo congedarmi e volevo essere protagonista in maniera assoluta. Nonostante il tempo impiegato a svolgere i servizi si faceva spesso attività fisica, il più delle volte con il Maggiore Aldo Z. in testa, e quando c'era molta neve si andava a correre con stivaletti e mimetica. Un soldato addestrato a certi livelli non si può permettere di "fermarsi". Il Maggiore Aldo Z. ci mandava in continuazione questo messaggio, e chi ci teneva, io ci tenevo, dovevamo dargli retta. La sua "mano" siLa XIII Compagnia Paracadutisti CONDOR in Kosovo vide anche in Kosovo. A parte la solita cura certosina di rendere i propri uomini sempre all'altezza, era un'amante delle tradizioni. Nel piazzale dove erano situate le Compagnie del Battaglione fece mettere un braciere con del fuoco. Lo chiamò "Il fuoco del Quinto". C'era un piantone 24 ore su 24 con il compito di non farlo spegnere fino alla fine della missione. Il bracere aveva un coperchio sulla parte superiore per resistere a neve e pioggia. Le pattuglie che uscivano in ricognizione si occupavano di portare la legna da ardere. Il Comandante "istituì" anche un nuovo servizio tattico: le pattuglie appiedate nei centri abitati. Per la Task Force, in passato costituita da altri Reggimenti, una novità assoluta. Lo si vedeva anche dalle facce dei kosovari quando ci vedevano passare schierati in formazione tattica lungo le strade.
Lo scopo era quello di individuare eventuali attività illecite. Si usciva in gruppi da 10-12, armi individuali, mitragliatrice Minimi in testa e alla fine, collegamenti con la base via radio.
Nel tempo libero, veramente poco, tutti a vedere le partite di calcio (solo la Roma...) o la TV italiana nella mia stanza, specialmente i ragazzi del 3° Plotone (Maresciallo Comandante in testa!). Mi ero portato un decoder satellitare con abbonamento "full calcio-cinema", ed avevo acquistato da un kosovaro una gigantesca parabola per 70 marchi (35 euro). Ad alcuni ragazzi della mia compagnia avevo portato il cavo dell'antenna nella loro stanza, ma erano costretti a vedere quello che vedevo io....la domenica sicuramente la partita della Roma !
Tuttavia, anche in quest'occasione, come nel G8, mi incazzai come una belva. Succedevano cose a livello tecnico-burocratico disarmanti. Ce ne sarebbero da raccontare, ma mi soffermo su due eventi: nei primi mesi di Dicembre si ruppe il gruppo elettrogeno che dava corrente alla base per un sovraccarico. L'intera base aveva un'assorbimento di corrente di 450kw, il gruppo ne poteva sostenere solo 400. Era costato all'amministrazione militare 800 milioni di lire. con 50 in più ne avrebbero comprato uno da 500kw con buona pace per tutti. E va bene, sbagliare è umano, perseverare è diabolico. Nessuno dall'Italia si preoccupò di mandarci un nuovo gruppo. In un primo momento con piccoli gruppi si riuscì a tamponComponenti del 3° Plotone alla base di Djakovica, io sono quello in tutaare le emergenze, prima fra tutti l'illuminazione della base, successivamente con enormi sforzi da parte dei nostri Comandanti si riuscì a recuperare qualche piccolo gruppo elettrogeno nelle altri basi italiane nel Kosovo, ma questo non bastava a garantirci la corrente necessaria per le stufe elettriche. Morale della favola: passammo due mesi da inferno, alloggiavamo in corimec di ferro circondati da neve e ghiaccio senza riscaldamento! Anche in questo caso, le istituzioni ci avevano abbandonato.
Penso anche che nessun soldato del mondo avrebbe operato con la nostra efficienza in quelle situazioni.
Tuttavia siamo figli di soldati che 60 anni fà combatterono contro forze enormemente superiori in condizioni avverse.
E non potevamo farci intimorire dalla mancanza di riscaldamento.
Nonostante le difficoltà e le avversità riuscimmo a disimpegnare i compiti assegnati con elevata professionalità e competenza.
E ancora: l'illuminazione notturna della base era costituita da un potente impianto di luci dato in appalto ad una società privata Italiana: con il tempo si fulminarono metà delle lampade, la base di notte era quasi completamente oscurata. Nessuno poteva intervenire visto che non era di competenza militare, mettendo così a repentaglio la sicurezza dell'intera base. Ricordo che era rimasta senza illuminazione anche la parte della riservetta delle munizioni che dava sul lato est della base davanti a un palazzo di case popolari civili. I nostri Comandanti ovviarono a questo problema facendoci effettuare la guardia con dei visori notturni.
Come sempre lo spirito d'iniziativa del Paracadutista andò a sopperire le mancanze Istituzionali.
Ma ho anche ricordi extra-militari allegri del Kosovo, uno in particolare: un ricordo allegro per soli Paracadutisti...
25 dicembre 2001, cena di Natale al Reggimento nella mensa della base. Ero libero da ogni servizio e potei parteciparvi (chi era di servizio quel giorno avrebbe partecipato a quella di Capodanno). Il menù offriva deliziosi piatti a base di pesce e buon vino Italiano. Erano invitate alte rappresentazione della Brigata Multinazionale, compreso il Comandante, un Generale Bersagliere, ed altri ufficiali, sottufficiali e truppa di altri reparti non Paracadutisti. Il Quinto Battaglione era rappresentato da alcuni tavoli e vicinissimi a me, nello stesso tavolo, c'erano due ALTISSIMI UFFICIALI del Quinto Battaglione, che sconcertati dalla presenza di baschi neri nella mensa, Generale compreso, si guardarono negli occhi e intonarono il celebre ritornello... GIU' NELLA VALLE... C'E' UN FILO D'ERBA... e tutto il reggimento rispose: FANTE DI ... FANTE DI...., i fanti, rimasero sconcertati... sono cose che può capire, ed apprezzare, solo chi è Paracadutista.
Verso la fine di Gennaio ci preparammo al rientro.
Il Reggimento si organizzò nel seguente modo:i mezzi sarebbero stati imbarcati a Salonicco, quindi colonna militare fino alla Grecia con i mezzi guidati da chi aveva la relativa patente militare ed al fianco un capomacchina di grado superiore come vuole il Regolamento Militare. Per tutti gli altri rientro in aereo direttamente da Djakovika.
Io avevo la patente e dovetti guidare, insieme agli altri, prima fino alla Macedonia per 500km, poi fino alla Grecia.
Arrivati in Macedonia facemmo una soste di due giorni e nel bar stava per scattare una gigantesca rissa tra Romanisti-Paracadutisti e Napoletani-Fanti. C'era una sola tv con decoder satellitare, giocava nello stesso momento sia la Roma che il Napoli. L'intervento del Maresciallo Emiliano P., mio Comandante di Plotone e rappresentante più alto in grado dei Parà-Romanisti, evitò il peggio.
E ancora, il Caporal Maggiore Renzo M., grande amico, Paracadutista della XIII, rischiò di pestare il barrista macedone della base che lo accusò di non aver pagato le pizze che aveva ordinato, dicendogli:"Italiano non fare furbo, tu pagare". La reazione di Renzo fu prima calma e diplomatica, aveva pagato le pizze e lo stava spiegando al tipo, ma visto che il macedone insisteva cominciando anche ad alzare la voce, il buon Renzo gli fece capire a modo suo che non era il caso, mettendo da parte per un attimo la diplomazia.
Il macedone capì e chiese scusa. A volte bisogna usare le cattive maniere per far capire anche i concetti apparentemente più facili.
Passati questi due giorni in Macedonia, la notte del 3 febbraio 2002 ci rimettemmo in marcia. 300km tutte di un fiato fino a Salonicco. Arrivato a Salonicco, a pochi chilometri dal porto, nostra meta, cominciai ad avere le allucinazioni, ero stremato, non ci eravamo mai fermati. Solo una leggera sosta alla frontiera Macedonia-Grecia. Arrivammo al porto di Salonicco alle 4 di mattina del 4 febbraio. Il più era fatto. Ma come sempre... quando hai a che fare con le alte sfere logistiche dell'Esercito Italiano, la sorpresa è dietro l'angolo.
Caricati i mezzi sulla nave, era arrivato il momento di rientrare in Italia. Dopo 4 mesi e 4 mesi la nostra missione stava per concludersi.
Ci venne a prendere, con 2 ore di ritardo, un pullman civile con autista greco che doveva portarci all'aeroporto. Il pullman si ruppe, ne venne un altro dopo un'altra ora, nell'intervallo ci diedero da mangiare panini orribili, i peggiori mangiati dalla mia vita, pane duro con all'interno alimenti non identificati. Ma non era un problema, eravamo Paracadutisti. E la storia diceva che dovevamo adattarci.
Finalmente all'aeroporto. Dov'è il nostro aereo?
Il nostro aereo non c'è. Nessuno sa dov'è. Erano le 14 del 4 febbraio 2002, eravamo all'aeroporto di Salonicco, lontani dal terminal, ma ospitati in un capannone, vicino a una pista di decollo, gestito da militari italiani logisti. Eravamo consumati, stressati, stanchi, affamati. I nostri Comandanti ci autorizzarono ad andare al terminal dell'aeroporto, non si poteva, eravamo armati in un paese regolarmente governato, ma capirono la situazione, organizzammo dei piantoni a turno che custodivano armi individuali ed equipaggiamenti e andammo a bere e mangiare qualche schifezza locale pagando, ovviamente, con i nostri soldi personali.
Bevemmo decine di bottiglie di birra, anzi, per dirla tutta bevemmo tutte le birre disponibili nel piccolo bar.
Alle 18, un lampo, un miracolo, dopo ore di attesa, arriva il nostro aereo. Un colpo di fortuna, un boeing di una nota compagnia di volo Italiana, un volo di linea.
Avevo già effettuato lunghi voli (Italia-Kosovo) con aerei militari sia G-222 che C-130. Non li consiglio a nessuno, in quella situazione sarebbe stata un'ulteriore mazzata. Ma come tutte le cose, dicevamo, dalla nave del G-8 al resto, il servizio è incompleto. Dovemmo caricare con le nostre braccia gli zaini e tutto il materiale nella stiva dell'aereo.
Allora domando, ma l'Esercito stipula contratti con compagnie aeree civili incompleti? E ancora, l'aereo era un porcile, il Comandante ci chiese "scusa", disse che purtroppo non c'era stato il tempo per pulirlo. Penso che nel contratto Compagnia di volo-Esercito sia compresa sia la pulizia del velivolo, che il caricamento dei bagagli. Come sempre, a pagarne, fummo noi. A quel tempo non ci feci caso, ormai avevo deciso di congedarmi, ma voglio ricordare a tutti che i soldi che spende l'Esercito sono i soldi di noi contribuenti.
E personalmente pretendo che i miei soldi, quelli mi vengono tolti con le tasse, siano ben spesi, non regalati.
Ma evidentemente c'è qualcosa che non funziona nelle alte sfere militari. Questo se lo avete ben capito, è stato il motivo che mi ha portato a congedarmi e a separarmi dall'amata Brigata Folgore. E' stato come lasciare una donna che ami. E' stato doloroso, ma secondo il mio punto di vista, inevitabile. Non ho voglia di farmi prendere in giro dagli ufficiali di Commissariato dello Stato Maggiore, che seduti su una poltrona in pelle e con una pancia che gli tocca la scrivania si occupano, per esempio, dell'equipaggiamento di un soldato quando non sono mai stati soldati. L'esercito Italiano fino al 2002 aveva una fornitura di gibernaggi da cabaret. E tante, tante, tantissime, altre cose. Vengono spesi una montagna di soldi per la Difesa, ma in maniera sbagliata. Navi carrette, voli civili con servizi incompleti, gruppi elettrogeni non adatti, equipaggiamenti carnevaleschi.
Oggi, a detta dei miei amici che sono ancora in servizio, molte cose sono cambiate (in meglio). Spero che le cose migliorino ulteriormente in futuro.
4 febbraio 2002, l'arrivo a Siena e l'ultimo mese da militare
Arrivati a Siena verso le 22 del 4 febbraio 2002 restituimmo armi e caricatori. La missione era realmente finita.
Una missione termina quando l'ultima arma rientra in armeria.
Noi pulimmo le nostre armi, ricontammo uno per uno i 210 colpi dei nostri colpi e rinconsegnammo il tutto.
A Siena trovammo una sorpresa, anzi due: le donne militari e i termosifoni!
Entrambe una novità. Le donne erano appena state abilitate nell'Esercito, quattro nella nostra compagnia, ma la novità più eclatante erano i termosifoni. E sì, avete ben capito, la truppa a Siena per decine di anni ha vissuto ed alloggiato in ambienti glaciali.
Peccato però che dovevo congedarmi, niente donne, e, soprattutto, niente termosifoni.
Andai il licenza il giorno dopo, 40 giorni. Visto che dovevo andarmene dovevo usufruire di tutti i giorni rimasti e le ore di recupero che avevo accumulato. Rientrai però dopo una settimana per una mezza giornata, dovevo ritirare il "mio" VM al porto di Livorno e portarlo alla Caserma Bandini, sede del 186° Reggimento. Potevo tranquillamente rifiutarmi, ma volevo contribuire alla causa Paracadutista fino alla fine.
Qualche giorni prima del mio rientro in Caserma,una notizia spezzò il cuore a tutto il Reggimento, e alla XIII in particolare: Simone Trudu, 22 anni, Caporal Maggiore del mio scaglione, stesso corso a Cesano e Pisa, 5 numeri di brevetto dopo di me, compagno di sangue e sudore della XIII Paracadutisti Condor è morto in un incidente stradale vicino casa sua, in Sardegna, nei pressi di Oristano. Ero legatissimo a Simone, uscivamo spesso insieme nel tempo libero, nel periodo iniziale veniva sempre a casa mia il week end, visto che per lui era impossibile andare a casa con facilità abitando in Sardegna. Voglio ricordarlo come un Valoroso Soldato, Orgoglioso Paracadutista e Grande Amico.
Rientrai il 15 Marzo, il 23 salutai i ragazzi e i Comandanti, consegnai l'equipaggiamento al magazzino di Compagnia e il tesserino militare in maggiorità.
Ero tornato, dopo tre anni, un civile.
Mi sentii leggero come una piuma, ma con il tempo scoprii che i valori che avevo incontrato dentro le mura di quella Caserma, fuori non c'erano, anzi, non esistevano. Erano un'esclusiva della famiglia Paracadutista.
Per qualche anno continuai a sentirmi con tutta la Compagnia, poi mi staccai per impegni di lavoro, oggi la potenza della rete e dei social network in particolare mi hanno permesso di riavvicinarmi e ritrovare tutti.
Nonostante gli anni passino, i ricordi restano indelebili e il ricordo di quegli anni vissuti con il batticuore e l'emozione ogni mattina quando urlavo insieme ad altri 600 Paracadutisti "FOLGORE!!!!", rimarrà per sempre dentro di me.
Con Stima e Gratitudine, orgoglioso e fiero di aver servito l'Italia in Armi nei Vostri Ranghi
Alessandro Generotti
Caporal Maggiore Paracadutista in Congedo
Nessun commento:
Posta un commento