Carlo Azeglio Ciampi – El Alamein
Eccellenze,
Signore e Signori,
Reduci di ogni nazione,
E’ un onore essere oggi qui con Voi.
Ho la vostra età: classe 1920. Come Voi, ho vissuto la mia gioventù in armi, su un altro fronte di quella tragica seconda guerra mondiale che sconvolse il mondo intero. In questo deserto si affrontò per anni la migliore gioventù dei nostri popoli.
In tre epiche battaglie, tra il luglio e il novembre 1942, qui a El Alamein, ogni duna, ogni metro di deserto furono aspramente contesi.
Vicino a noi, un’altura che a malapena si nota, quota 33, divenne una montagna conquistata, difesa, vinta e persa.
Vi combatteste con eroismo, con l’onore delle armi. Tra i memoriali, al km. 111, una lapide italiana ricorda “mancò la fortuna, non il valore”. A nessuno mancò il valore.
In migliaia caddero in quelle tre battaglie. Tanti compagni d’armi, tanti amici della mia gioventù non sono tornati.
Oggi siamo qui, fraternamente uniti, a rendere onore a tutti i caduti di El Alamein: con commozione, con animo riconoscente.
Per anni i loro resti straziati sono stati cercati e ricomposti con religiosa pietà. Siamo grati a tutti coloro che si sono dedicati a questa pietosa opera, che hanno costruito i cimiteri, che hanno innalzato i monumenti per onorare il sacrificio dei caduti.
Qui si sono affrontati oltre 300 mila giovani. Non sapremo mai quanti hanno lasciato la vita in queste battaglie. Molti giacciono senza sepoltura, ma non dimenticati. Oltre 16 mila sono stati raccolti nei sacrari del Commonwealth, italiano e tedesco, eretti alla loro memoria.
Saluto tutti i reduci: avete visto i vostri compagni cadere, avete combattuto e sofferto al loro fianco.
Ogni anno Vi riunite in questa terra d’Egitto, movendo anche da Paesi lontani, come l’Australia e la Nuova Zelanda, dimentichi di essere stati avversari sul campo di battaglia, affratellati dalla memoria viva del dramma allora vissuto.
La guerra divise nazioni e popoli con comuni radici di civiltà e fitti legami di sangue e di amicizia.
Dopo quelle epiche battaglie la guerra durò ancora a lungo.
I totalitarismi furono sconfitti.
Sono trascorsi sessant’anni. Il mondo è cambiato profondamente.
Lo ha cambiato la stessa generazione che si era combattuta a El Alamein. Noi, i sopravvissuti, lo abbiamo giurato nei nostri cuori: mai più guerre fra noi.
Abbiamo cercato di costruire un mondo diverso e migliore, più libero, più giusto.
Le generazioni che non hanno vissuto la guerra devono avere piena consapevolezza delle conquiste di libertà e di democrazia. E difenderle col coraggio e la dedizione che Voi mostraste su questo campo di battaglia.
Molti dei paesi che si affrontarono a El Alamein hanno dato vita, in Europa, al grande progetto di unità e di integrazione dell’Unione Europea.
La Carta delle Nazioni Unite ha recepito l’anelito di pace e la consapevolezza della necessità di un impegno comune.
Ha stabilito le regole di una comunità internazionale che crede nel diritto e nella collaborazione fra gli Stati.
Nei Balcani, in Afghanistan, nel vigilare su una pace talvolta precaria in varie parti del mondo, i soldati delle nostre nazioni assolvono – insieme – compiti difficili e pericolosi.
Oggi siamo ancora una volta insieme in questo deserto, uniti da un comune ideale di civiltà, ad onorare, in questi luoghi che il sacrificio di tanti nostri compagni d’armi ha reso sacri, la memoria di quanti, di ogni Patria e di ogni Nazione, caddero qui combattendo.
Possa il loro sacrificio, la loro memoria assistere noi e le future generazioni nell’affrontare con coraggio e con spirito di pace le prove che ci attendono.
CARLO AZEGLIO CIAMPI
Signore e Signori,
Reduci di ogni nazione,
E’ un onore essere oggi qui con Voi.
Ho la vostra età: classe 1920. Come Voi, ho vissuto la mia gioventù in armi, su un altro fronte di quella tragica seconda guerra mondiale che sconvolse il mondo intero. In questo deserto si affrontò per anni la migliore gioventù dei nostri popoli.
In tre epiche battaglie, tra il luglio e il novembre 1942, qui a El Alamein, ogni duna, ogni metro di deserto furono aspramente contesi.
Vicino a noi, un’altura che a malapena si nota, quota 33, divenne una montagna conquistata, difesa, vinta e persa.
Vi combatteste con eroismo, con l’onore delle armi. Tra i memoriali, al km. 111, una lapide italiana ricorda “mancò la fortuna, non il valore”. A nessuno mancò il valore.
In migliaia caddero in quelle tre battaglie. Tanti compagni d’armi, tanti amici della mia gioventù non sono tornati.
Oggi siamo qui, fraternamente uniti, a rendere onore a tutti i caduti di El Alamein: con commozione, con animo riconoscente.
Per anni i loro resti straziati sono stati cercati e ricomposti con religiosa pietà. Siamo grati a tutti coloro che si sono dedicati a questa pietosa opera, che hanno costruito i cimiteri, che hanno innalzato i monumenti per onorare il sacrificio dei caduti.
Qui si sono affrontati oltre 300 mila giovani. Non sapremo mai quanti hanno lasciato la vita in queste battaglie. Molti giacciono senza sepoltura, ma non dimenticati. Oltre 16 mila sono stati raccolti nei sacrari del Commonwealth, italiano e tedesco, eretti alla loro memoria.
Saluto tutti i reduci: avete visto i vostri compagni cadere, avete combattuto e sofferto al loro fianco.
Ogni anno Vi riunite in questa terra d’Egitto, movendo anche da Paesi lontani, come l’Australia e la Nuova Zelanda, dimentichi di essere stati avversari sul campo di battaglia, affratellati dalla memoria viva del dramma allora vissuto.
La guerra divise nazioni e popoli con comuni radici di civiltà e fitti legami di sangue e di amicizia.
Dopo quelle epiche battaglie la guerra durò ancora a lungo.
I totalitarismi furono sconfitti.
Sono trascorsi sessant’anni. Il mondo è cambiato profondamente.
Lo ha cambiato la stessa generazione che si era combattuta a El Alamein. Noi, i sopravvissuti, lo abbiamo giurato nei nostri cuori: mai più guerre fra noi.
Abbiamo cercato di costruire un mondo diverso e migliore, più libero, più giusto.
Le generazioni che non hanno vissuto la guerra devono avere piena consapevolezza delle conquiste di libertà e di democrazia. E difenderle col coraggio e la dedizione che Voi mostraste su questo campo di battaglia.
Molti dei paesi che si affrontarono a El Alamein hanno dato vita, in Europa, al grande progetto di unità e di integrazione dell’Unione Europea.
La Carta delle Nazioni Unite ha recepito l’anelito di pace e la consapevolezza della necessità di un impegno comune.
Ha stabilito le regole di una comunità internazionale che crede nel diritto e nella collaborazione fra gli Stati.
Nei Balcani, in Afghanistan, nel vigilare su una pace talvolta precaria in varie parti del mondo, i soldati delle nostre nazioni assolvono – insieme – compiti difficili e pericolosi.
Oggi siamo ancora una volta insieme in questo deserto, uniti da un comune ideale di civiltà, ad onorare, in questi luoghi che il sacrificio di tanti nostri compagni d’armi ha reso sacri, la memoria di quanti, di ogni Patria e di ogni Nazione, caddero qui combattendo.
Possa il loro sacrificio, la loro memoria assistere noi e le future generazioni nell’affrontare con coraggio e con spirito di pace le prove che ci attendono.
CARLO AZEGLIO CIAMPI
(All’alba del 23 ottobre stava per iniziare la sfortunata battaglia di EL ALAMEIN in cui i soldati italiani scrissero una delle più belle pagine della storia della guerra africana. Alle fanterie italiane erano stati intervallati reparti tedeschi. Verso le 22 iniziò la battaglia e fu un inferno. La lotta proseguì violenta per tutta la giornata del 24 e la notte successiva. Ad un certo punto i paracadutisti della 6°, 24° e 19° compagnia si trovarono privi di munizioni. Al grido di “VIVA L’ITALIA“ e “LA FOLGORE MUORE MA NON SI ARRENDE“ scattarono come molle dalle loro buche e combatterono in un impari corpo a corpo. La lotta si svolse ad alterne vicende. Il 4 novembre 1942 la Folgore è isolata nel deserto ed accerchiata dal nemico. La sua sorte è segnata.
Da questo momento le vicende della Folgore cessano di essere storia e diventano leggenda. Dai bollettini avversari:
“LA RESISTENZA OPPOSTA DALLA DIVISIONE PARACADUTISTI FOLGORE E’ INVERO MIRABILE“
“I RESTI DELLA DIVISIONE ITALIANA FOLGORE HANNO RESISTITO OLTRE OGNI LIMITE DELLE UMANI POSSIBILITA‘“
Dei 6450 ne restano, solo, 340, inclusi ufficiali, ma nessuno ha mai alzato bandiera bianca. Il nemico rende onore alle armi e CHURCHILL disse:
“DOBBIAMO INCHINARCI DAVANTI AI RESTI DI QUELLI CHE FURONO I LEONI DELLA FOLGORE“.
Dopo questa campagna alla Folgore viene conferita la medaglia d’oro al valor militare.
“LA RESISTENZA OPPOSTA DALLA DIVISIONE PARACADUTISTI FOLGORE E’ INVERO MIRABILE“
“I RESTI DELLA DIVISIONE ITALIANA FOLGORE HANNO RESISTITO OLTRE OGNI LIMITE DELLE UMANI POSSIBILITA‘“
Dei 6450 ne restano, solo, 340, inclusi ufficiali, ma nessuno ha mai alzato bandiera bianca. Il nemico rende onore alle armi e CHURCHILL disse:
“DOBBIAMO INCHINARCI DAVANTI AI RESTI DI QUELLI CHE FURONO I LEONI DELLA FOLGORE“.
Dopo questa campagna alla Folgore viene conferita la medaglia d’oro al valor militare.
V’è un punto del deserto di El Alamein, al km. 42 della pista dell’acqua, un cimiterino nudo e senza pretese architettoniche, dove su tumoli allineati dalle croci di abete è il nome di tutti. Nel mezzo v’è un semplice scritto, che vale più d’un intero cifrario: “FOLGORE”.
A chi la capisce esso dice:
Fra le sabbie non più deserte
son qui di presidio per l’eternità i Ragazzi della Folgore
fior fiore d’un popolo e d’un esercito in armi.
Caduti per un’idea, senza rimpianto, onorati nel ricordo dallo stesso nemico,
essi additano agli italiani, nella buona e nell’avversa fortuna,
il cammino dell’onore e della gloria.
Viandante, arrestati e riverisci.
Dio degli eserciti,
accogli gli spiriti di questi ragazzi in quell’angolo di cielo,
che riserbi ai martiri ed agli eroi”
A chi la capisce esso dice:
Fra le sabbie non più deserte
son qui di presidio per l’eternità i Ragazzi della Folgore
fior fiore d’un popolo e d’un esercito in armi.
Caduti per un’idea, senza rimpianto, onorati nel ricordo dallo stesso nemico,
essi additano agli italiani, nella buona e nell’avversa fortuna,
il cammino dell’onore e della gloria.
Viandante, arrestati e riverisci.
Dio degli eserciti,
accogli gli spiriti di questi ragazzi in quell’angolo di cielo,
che riserbi ai martiri ed agli eroi”
Data: 23 OTTOBRE - 4 NOVEMBRE 1942
Luogo: EL-ALAMEIN (Località egiziana a 100 km da Alessandria)
Eserciti contro: INGLESE e ITALO-TEDESCO
Contesto: SECONDA GUERRA MONDIALE
Protagonisti:
ERWIN ROMMEL (Comandante dell'Afrika Korps)
ETTORE BASTICO (Generale italiano)
HAROLD ALEXANDER (Comandante inglese del settore mediorientale)
BERNARD LAW MONTGOMERY (Generale britannico, comandante dell'Ottava armata)
Luogo: EL-ALAMEIN (Località egiziana a 100 km da Alessandria)
Eserciti contro: INGLESE e ITALO-TEDESCO
Contesto: SECONDA GUERRA MONDIALE
Protagonisti:
ERWIN ROMMEL (Comandante dell'Afrika Korps)
ETTORE BASTICO (Generale italiano)
HAROLD ALEXANDER (Comandante inglese del settore mediorientale)
BERNARD LAW MONTGOMERY (Generale britannico, comandante dell'Ottava armata)
LA BATTAGLIA
Il 22 giugno e il 7 agosto del 1942 sono le due date fondamentali per la storia della battaglia di El Alamein.
Il pomeriggio del 22 giugno il comandante dell'Afrika Korps, generale Erwin Rommel si incontra a Gambut con il suo collega italiano generale Ettore Bastico, per discutere quali decisioni sono da prendere circa l'offensiva italo-tedesca in corso. Il giorno precedente è stata riconquistata la fortezza di Tobruk: trentacinquemila inglesi con sei generali si sono arresi. La sera stessa Rommel viene nominato feldmaresciallo.
Tornando alla riunione degli alleati italo-tedeschi, viene deciso di seguire la linea di condotta di Rommel: proseguire l'offensiva e infliggere in Egitto il colpo decisivo agli inglesi, non lasciando loro il tempo di ricostituire le loro difese.
Il 7 agosto dello stesso anno è l'altro giorno decisivo per le sorti di quella che sarà la battaglia di El Alamein. In conseguenza delle sconfitte subite sul fronte dell'Africa settentrionale a opera di Rommel, il primo ministro britannico Winston Churchill decide di sostituire sia il comandante del settore mediorientale, Auchinleck, sia il comandante dell'Ottava armata, Ritchie. Al posto del primo designa il generale Harold Alexander e al posto del secondo il generale W. Gott. Ma lo stesso giorno della sua nomina, Gott viene abbattuto da un caccia tedesco mentre compie un volo di ricognizione sulle postazioni del fronte libico e così il problema del comando dell'Ottava armata si ripropone con raddoppiata urgenza. Lo risolve, nonostante qualche perplessità di Churchill, il capo di Stato Maggiore britannico, sir Alan Francis Brooke, che sceglie, per il posto di Gott, Bernard Law Montgomery. Sarà la determinazione di questo generale, apprezzato ma non sopravvalutato, a dare una mentalità vincente alle rassegnate truppe inglesi dell'Africa settentrionale e, in una straordinaria vampata d'orgoglio, a rovesciare la situazione.
Ai primi di luglio Rommel si è visto bloccato dai rinfrancati inglesi a El Alamein, una stazioncina ferroviaria diroccata distante cento chilometri da Alessandria, nel pieno deserto.
Ma entrambi i due schieramenti restano in stallo. Hanno necessità di consolidarsi.
Montgomery sospende gli attacchi, Rommel pure. Anzi ne approfitta per prendersi qualche giorno di licenza e vola a Berlino, lasciando il comando al generale Stumme.
Alla vigilia della battaglia di El Alamein, l'Asse dispone di ottantamila uomini, di cui ventisettemila tedeschi, duecento carri armati e 345 aerei (129 tedeschi e 216 italiani). Di contro, Montgomery può schierare duecentotrentamila uomini, oltre mille carri armati e 1000 aerei. Dunque la superiorità britannica si può calcolare almeno nella misura di uno a tre.
Dal nord verso sud lo schieramento dell'Asse (italo-tedesco) era il seguente: a nord le divisioni di fanteria "Trento", "Bologna" e "Brescia". All'estremità sud, la divisione paracadutisti "Folgore", appena giunta in Africa settentrionale. Alle spalle della "Folgore", la divisione "Pavia". In prima linea, a sostegno delle forze italiane, la 164ma divisione tedesca e la brigata paracadutisti del generale Ramcke. Le unità di manovra, tenute in seconda schiera, erano a nord la divisione corazzata "Littorio" e la 15ma Panzerdivision, e a sud la divisione corazzata "Ariete" e la 21ma Panzerdivision. Di riserva, la divisione "Trieste" e la 90ma divisione tedesca.
Ecco invece lo schieramento adottato da Montgomery. A nord, il 30mo Corpo d'Armata, a sud il 13mo e, alle loro spalle, il reparto meglio addestrato e meglio armato, ossia il 10mo Corpo d'Armata corazzato. Nel 30mo Corpo figuravano le divisioni indiana, neozelandese, australiana e sudafricana; nel 13mo, oltre a due divisioni inglesi, due brigate francesi e una brigata greca.
Il piano di Montgomery consiste nell'attaccare il centro del settore nord, dov'erano schierate la "Trento" e la 164ma divisione tedesca, tentando di sfondare nel tratto tenuto dagli italiani, ritenuti più deboli e peggio armati dei loro camerati germanici. Ciò fatto, aprire due corridoi nei campi minati, attraverso i quali far passare i mezzi corazzati che dovevano eliminare i panzer nemici. I carri avrebbero protetto l'avanzata della fanteria e avrebbero spazzato via i reparti dell'Asse di prima linea. In un secondo tempo era prevista la distruzione delle truppe italo-tedesche di copertura. Infine dovevano essere eliminate le riserve.
Il piano di Montgomery è una una finta a sud poi attacco in forze a nord. Nei giorni precedenti nel prepararsi, aveva mascherato e mimetizzato (addirittura avvalendosi di uno sceneggiatore cinematografico - Barkas- e di un illusionista - Maskelyne-) un fortissimo concentramento a nord (86 battaglioni di fanteria 150.000 uomini, alcune migliaia di automezzi, 3247 cannoni, migliaia di tonnellate di rifornimenti, 1350 carri armati. 1200 aerei) mentre ha predisposto un altro contingente di molto inferiore e disordinatamente a sud, che ha tratto in inganno Rommel prima di partire; più che convinto che gli inglesi con le forze che disponevano a sud non potevano non prima di novembre scatenare un offensiva.
Assente Rommel, la battaglia comincia alle 21.40 precise del 23 ottobre 1942, in una notte di luna piena, quando i mille cannoni di Montgomery aprono il fuoco simultaneamente lungo il fronte, concentrando il tiro sulle postazioni di artiglieria sulle truppe dell'Asse.
Alle 22 esatte inizia l'azione delle fanterie. La prima fase, quella dell'urto, va dalla notte del 23 fino al 26 ottobre. La resistenza dei tedeschi e degli italiani è accanita, superiore al previsto. Tuttavia, all'alba del 24 ottobre il 30mo Corpo d'armata britannico ha raggiunto gli obiettivi che gli sono stati assegnati, ma le sue fanterie sono stanche e provate e non possono contribuire ad assicurare il passaggio dei carri armati nel varco aperto nel settore nord.
Stumme lasciato al comando da Rommel probabilmente fu disperato. Muore -secondo alcune fonti- di aploplessia, con un un colpo di rivoltella alla tempia, secondo altri.
Rommel subito messo al corrente a Berlino, deve accorrere subito in Africa, dove giunge il 26 ottobre, trovandosi davanti una situazione gravissima.
Il 27 ottobre Rommel dedica questa lettera alla moglie, convinto che sia finita: "La battaglia infuria e probabilmente sfonderemo ad onta di tutte le gravi difficoltà. Potrebbe anche darsi che naufragheremo, nel qual caso tutto il corso della guerra ne verrebbe sfavorevolmente influenzato poiché tutta l'Africa del Nord cadrebbe in mano degli inglesi. Ciò potrebbe avvenire nel corso di pochi giorni e pressoché senza battaglia. Noi facciamo tutto quanto è umanamente possibile per vincere. Purtroppo la superiorità del nemico è enorme. Che la cosa ci riesca, che io vinca o meno la battaglia è nelle mani di Dio. La vita è dura per uno sconfitto, io guardo dritto innanzi verso il mio destino poiché la mia coscienza è tranquilla. Quanto era umanamente possibile fare io l'ho fatto, e non mi sono risparmiato personalmente. Dovessi rimanere sul campo di battaglia, desidero rendere grazie a te e al ragazzo per tutto l'amore e la tenerezza che avete voluto donarmi nella mia vita". (lettera riportata nel DIARIO DI ROMMEL - vedi)
L'avanzata riprende il 28 nei corridoi, sotto il fuoco rapido e micidiale dei cannoni anticarro tedeschi. I carri armati inglesi posti fuori combattimento si contano già a decine. E' il momento culminante. Il 28 sera i carri inglesi distrutti sono circa trecento. La 1ma divisione corazzata inglese, al di là del corridoio, rischia a un certo punto di venire attaccata e respinta dalla 21ma divisione Panzer tedesca. Allora Montgomery spinge verso nord la 7ma divisione corazzata e ordina alla 9 divisione australiana di colpire anch'essa a nord. La situazione non si presenta certo brillante. Il comandante dell'Ottava armata pensava di sfondare in un arco di tempo di una decina di ore e invece i suoi calcoli si stanno rivelando sbagliati.
Il 31 ottobre Montgomery dà l'avvio a quella che definisce "l'Operazione Supercharge", ossia il colpo d'ariete. Nel frattempo Rommel studia la possibilità di ripiegare su Fuka, a ventiquattro chilometri dalle prime linee: ma capisce che la sua armata così duramente provata e quasi a secco di carburante corre il rischio di essere completamente disfatta.
La sera del 2 novembre i carri armati del feldmaresciallo sono soltanto trenta. Bisognerebbe ripiegare subito, ma il 3 ottobre gli arriva un perentorio ordine di Hitler, con il quale si impone all'Afrika Korps di farsi uccidere sul posto piuttosto di indietreggiare di un metro. Così Rommel manda a tutti i reparti l'ordine di resistere a ogni costo, e rifiuta di accettare le implorazioni dei suoi generali, impegnati a dimostrargli l'assurdità di una condotta del genere.
Il ripiegamento suggerito da Rommel a Hitler non era un capriccio da codardo, Rommel abile in campo aperto, capace di rivoluzionare i piani prestabiliti nel pieno della battaglia voleva stanare gli inglesi, affrontarli a viso aperto. Una sfida insomma.
Ecco cosa scrive il suo aiutante nel Diario: "...se date cinque carri armati a me e cinque a lui (Montgomery) mettendoci in una zona isolata del deserto con uguali riserve di benzina, allora vedrete chi di noi due è più bravo!".
Il 4 novembre Montgomery è in piena avanzata e ha aggirato ormai lo sbarramento anticarro italo-tedesco. Il generale tedesco von Thoma, in prima linea, si consegna agli inglesi: non si è più sentito di condividere il massacro imposto da Hitler ai suoi uomini. Alle 15.30 giunge a Rommel un messaggio: la divisione italiana "Ariete" non esiste più, si è immolata per tenere le posizioni. Gli inglesi hanno aperto una breccia ampia venti chilometri. Alle 8 di sera, quando apprende che la brigata corazzata britannica è già arrivata alla litoranea, Erwin Rommel decide l'unica soluzione possibile: la ritirata.
La ritirata sarà un altro capolavoro del feldmaresciallo, perché nonostante la sconfitta subita Montgomery non riuscirà ad accerchiarlo e a distruggere definitivamente l'Afrika Korps. Comincia qui l'odissea dei settantamila superstiti della battaglia di El Alamein: tremilaquattrocento chilometri nel deserto, invano inseguiti dal nemico fino alla Tunisia.
Quando a Rommel viene annunciato lo sbarco di un corpo di spedizione di centomila americani in Algeria e in Marocco, capisce d'essere preso tra due fuochi e di non avere, né lui né l'Afrika Korps, più alcuno scampo. Si tratta soltanto di contare i giorni che mancano alla fine.
Gli aiuti sempre richiesti, Hitler li invierà in Tunisia, quando ormai era troppo tardi.
L'occupazione della Tunisia influì ben poco sulle successive sorti generali del conflitto.
William Shirer nella Storia del Terzo Reich scriverà: " Se il Fuhrer avesse mandato qualche mese prima soltanto un quinto di quelle truppe e di quei carri armati a Rommel, probabilmente la "volpe del deserto" in quel momento si sarebbe trovata al di là del Nilo, lo sbarco angloamericano nell'Africa del Nord non avrebbe avuto luogo e il Mediterraneo sarebbe stato irrimediabilmente perduto per gli alleati, e così sarebbe stato salvaguardato il punto vulnerabile del corpo dell'Asse"
Altrettanto gravisswimo errore di Mussolini: se avesse mandato in Africa invece che in Russia soltanto un quinto delle truppe dell'ARMIR, in una sera di novembre avrebbe cenato al Cairo.
Gli ultimi a cedere ad El Alamein furono i paracadutisti della "Folgore, abbarbicati al terreno a sud, ai margini della depressione di El Qattara. Avevano di fronte quel 13mo Corpo d'armata che, secondo la versione inglese, doveva impegnarsi soltanto per dar vita a un falso scopo, mentre in realtà dovette combattere una delle più dure e logoranti battaglie locali di sfondamento dell'intero fronte. Quelli della Folgore resistettero per tredici giorni senza cedere un metro.
Erano partiti dall'Italia in cinquemila, erano rimasti, tra ufficiali e truppa, in trecentoquattro. Alla resa, ebbero l'onore delle armi e il nome della loro divisione restò da allora leggendario.
La BBC inglese a battaglia conclusa, l'11 novembre così commentò: " I "resti della divisione Folgore hanno resistito oltre ogni limite delle possibilità umane".
Così si concluse la battaglia di El Alamein, che provocò la morte di tredicimilacinquecento inglesi, di diciassettemila italiani e di novemila tedeschi. Fu una delle battaglie più decisive della seconda guerra mondiale, perché mise fine alla minaccia italo-tedesca sul Canale di Suez, consentì il dominio assoluto del Mediterraneo agli inglesi, cancellò dallo scacchiere un intero fronte e, in prospettiva, aprì la strada al secondo fronte, ossia allo sbarco in Sicilia destinato a riportare gli alleati in Europa.
Il pomeriggio del 22 giugno il comandante dell'Afrika Korps, generale Erwin Rommel si incontra a Gambut con il suo collega italiano generale Ettore Bastico, per discutere quali decisioni sono da prendere circa l'offensiva italo-tedesca in corso. Il giorno precedente è stata riconquistata la fortezza di Tobruk: trentacinquemila inglesi con sei generali si sono arresi. La sera stessa Rommel viene nominato feldmaresciallo.
Tornando alla riunione degli alleati italo-tedeschi, viene deciso di seguire la linea di condotta di Rommel: proseguire l'offensiva e infliggere in Egitto il colpo decisivo agli inglesi, non lasciando loro il tempo di ricostituire le loro difese.
Il 7 agosto dello stesso anno è l'altro giorno decisivo per le sorti di quella che sarà la battaglia di El Alamein. In conseguenza delle sconfitte subite sul fronte dell'Africa settentrionale a opera di Rommel, il primo ministro britannico Winston Churchill decide di sostituire sia il comandante del settore mediorientale, Auchinleck, sia il comandante dell'Ottava armata, Ritchie. Al posto del primo designa il generale Harold Alexander e al posto del secondo il generale W. Gott. Ma lo stesso giorno della sua nomina, Gott viene abbattuto da un caccia tedesco mentre compie un volo di ricognizione sulle postazioni del fronte libico e così il problema del comando dell'Ottava armata si ripropone con raddoppiata urgenza. Lo risolve, nonostante qualche perplessità di Churchill, il capo di Stato Maggiore britannico, sir Alan Francis Brooke, che sceglie, per il posto di Gott, Bernard Law Montgomery. Sarà la determinazione di questo generale, apprezzato ma non sopravvalutato, a dare una mentalità vincente alle rassegnate truppe inglesi dell'Africa settentrionale e, in una straordinaria vampata d'orgoglio, a rovesciare la situazione.
Ai primi di luglio Rommel si è visto bloccato dai rinfrancati inglesi a El Alamein, una stazioncina ferroviaria diroccata distante cento chilometri da Alessandria, nel pieno deserto.
Ma entrambi i due schieramenti restano in stallo. Hanno necessità di consolidarsi.
Montgomery sospende gli attacchi, Rommel pure. Anzi ne approfitta per prendersi qualche giorno di licenza e vola a Berlino, lasciando il comando al generale Stumme.
Alla vigilia della battaglia di El Alamein, l'Asse dispone di ottantamila uomini, di cui ventisettemila tedeschi, duecento carri armati e 345 aerei (129 tedeschi e 216 italiani). Di contro, Montgomery può schierare duecentotrentamila uomini, oltre mille carri armati e 1000 aerei. Dunque la superiorità britannica si può calcolare almeno nella misura di uno a tre.
Dal nord verso sud lo schieramento dell'Asse (italo-tedesco) era il seguente: a nord le divisioni di fanteria "Trento", "Bologna" e "Brescia". All'estremità sud, la divisione paracadutisti "Folgore", appena giunta in Africa settentrionale. Alle spalle della "Folgore", la divisione "Pavia". In prima linea, a sostegno delle forze italiane, la 164ma divisione tedesca e la brigata paracadutisti del generale Ramcke. Le unità di manovra, tenute in seconda schiera, erano a nord la divisione corazzata "Littorio" e la 15ma Panzerdivision, e a sud la divisione corazzata "Ariete" e la 21ma Panzerdivision. Di riserva, la divisione "Trieste" e la 90ma divisione tedesca.
Ecco invece lo schieramento adottato da Montgomery. A nord, il 30mo Corpo d'Armata, a sud il 13mo e, alle loro spalle, il reparto meglio addestrato e meglio armato, ossia il 10mo Corpo d'Armata corazzato. Nel 30mo Corpo figuravano le divisioni indiana, neozelandese, australiana e sudafricana; nel 13mo, oltre a due divisioni inglesi, due brigate francesi e una brigata greca.
Il piano di Montgomery consiste nell'attaccare il centro del settore nord, dov'erano schierate la "Trento" e la 164ma divisione tedesca, tentando di sfondare nel tratto tenuto dagli italiani, ritenuti più deboli e peggio armati dei loro camerati germanici. Ciò fatto, aprire due corridoi nei campi minati, attraverso i quali far passare i mezzi corazzati che dovevano eliminare i panzer nemici. I carri avrebbero protetto l'avanzata della fanteria e avrebbero spazzato via i reparti dell'Asse di prima linea. In un secondo tempo era prevista la distruzione delle truppe italo-tedesche di copertura. Infine dovevano essere eliminate le riserve.
Il piano di Montgomery è una una finta a sud poi attacco in forze a nord. Nei giorni precedenti nel prepararsi, aveva mascherato e mimetizzato (addirittura avvalendosi di uno sceneggiatore cinematografico - Barkas- e di un illusionista - Maskelyne-) un fortissimo concentramento a nord (86 battaglioni di fanteria 150.000 uomini, alcune migliaia di automezzi, 3247 cannoni, migliaia di tonnellate di rifornimenti, 1350 carri armati. 1200 aerei) mentre ha predisposto un altro contingente di molto inferiore e disordinatamente a sud, che ha tratto in inganno Rommel prima di partire; più che convinto che gli inglesi con le forze che disponevano a sud non potevano non prima di novembre scatenare un offensiva.
Assente Rommel, la battaglia comincia alle 21.40 precise del 23 ottobre 1942, in una notte di luna piena, quando i mille cannoni di Montgomery aprono il fuoco simultaneamente lungo il fronte, concentrando il tiro sulle postazioni di artiglieria sulle truppe dell'Asse.
Alle 22 esatte inizia l'azione delle fanterie. La prima fase, quella dell'urto, va dalla notte del 23 fino al 26 ottobre. La resistenza dei tedeschi e degli italiani è accanita, superiore al previsto. Tuttavia, all'alba del 24 ottobre il 30mo Corpo d'armata britannico ha raggiunto gli obiettivi che gli sono stati assegnati, ma le sue fanterie sono stanche e provate e non possono contribuire ad assicurare il passaggio dei carri armati nel varco aperto nel settore nord.
Stumme lasciato al comando da Rommel probabilmente fu disperato. Muore -secondo alcune fonti- di aploplessia, con un un colpo di rivoltella alla tempia, secondo altri.
Rommel subito messo al corrente a Berlino, deve accorrere subito in Africa, dove giunge il 26 ottobre, trovandosi davanti una situazione gravissima.
Il 27 ottobre Rommel dedica questa lettera alla moglie, convinto che sia finita: "La battaglia infuria e probabilmente sfonderemo ad onta di tutte le gravi difficoltà. Potrebbe anche darsi che naufragheremo, nel qual caso tutto il corso della guerra ne verrebbe sfavorevolmente influenzato poiché tutta l'Africa del Nord cadrebbe in mano degli inglesi. Ciò potrebbe avvenire nel corso di pochi giorni e pressoché senza battaglia. Noi facciamo tutto quanto è umanamente possibile per vincere. Purtroppo la superiorità del nemico è enorme. Che la cosa ci riesca, che io vinca o meno la battaglia è nelle mani di Dio. La vita è dura per uno sconfitto, io guardo dritto innanzi verso il mio destino poiché la mia coscienza è tranquilla. Quanto era umanamente possibile fare io l'ho fatto, e non mi sono risparmiato personalmente. Dovessi rimanere sul campo di battaglia, desidero rendere grazie a te e al ragazzo per tutto l'amore e la tenerezza che avete voluto donarmi nella mia vita". (lettera riportata nel DIARIO DI ROMMEL - vedi)
L'avanzata riprende il 28 nei corridoi, sotto il fuoco rapido e micidiale dei cannoni anticarro tedeschi. I carri armati inglesi posti fuori combattimento si contano già a decine. E' il momento culminante. Il 28 sera i carri inglesi distrutti sono circa trecento. La 1ma divisione corazzata inglese, al di là del corridoio, rischia a un certo punto di venire attaccata e respinta dalla 21ma divisione Panzer tedesca. Allora Montgomery spinge verso nord la 7ma divisione corazzata e ordina alla 9 divisione australiana di colpire anch'essa a nord. La situazione non si presenta certo brillante. Il comandante dell'Ottava armata pensava di sfondare in un arco di tempo di una decina di ore e invece i suoi calcoli si stanno rivelando sbagliati.
Il 31 ottobre Montgomery dà l'avvio a quella che definisce "l'Operazione Supercharge", ossia il colpo d'ariete. Nel frattempo Rommel studia la possibilità di ripiegare su Fuka, a ventiquattro chilometri dalle prime linee: ma capisce che la sua armata così duramente provata e quasi a secco di carburante corre il rischio di essere completamente disfatta.
La sera del 2 novembre i carri armati del feldmaresciallo sono soltanto trenta. Bisognerebbe ripiegare subito, ma il 3 ottobre gli arriva un perentorio ordine di Hitler, con il quale si impone all'Afrika Korps di farsi uccidere sul posto piuttosto di indietreggiare di un metro. Così Rommel manda a tutti i reparti l'ordine di resistere a ogni costo, e rifiuta di accettare le implorazioni dei suoi generali, impegnati a dimostrargli l'assurdità di una condotta del genere.
Il ripiegamento suggerito da Rommel a Hitler non era un capriccio da codardo, Rommel abile in campo aperto, capace di rivoluzionare i piani prestabiliti nel pieno della battaglia voleva stanare gli inglesi, affrontarli a viso aperto. Una sfida insomma.
Ecco cosa scrive il suo aiutante nel Diario: "...se date cinque carri armati a me e cinque a lui (Montgomery) mettendoci in una zona isolata del deserto con uguali riserve di benzina, allora vedrete chi di noi due è più bravo!".
Il 4 novembre Montgomery è in piena avanzata e ha aggirato ormai lo sbarramento anticarro italo-tedesco. Il generale tedesco von Thoma, in prima linea, si consegna agli inglesi: non si è più sentito di condividere il massacro imposto da Hitler ai suoi uomini. Alle 15.30 giunge a Rommel un messaggio: la divisione italiana "Ariete" non esiste più, si è immolata per tenere le posizioni. Gli inglesi hanno aperto una breccia ampia venti chilometri. Alle 8 di sera, quando apprende che la brigata corazzata britannica è già arrivata alla litoranea, Erwin Rommel decide l'unica soluzione possibile: la ritirata.
La ritirata sarà un altro capolavoro del feldmaresciallo, perché nonostante la sconfitta subita Montgomery non riuscirà ad accerchiarlo e a distruggere definitivamente l'Afrika Korps. Comincia qui l'odissea dei settantamila superstiti della battaglia di El Alamein: tremilaquattrocento chilometri nel deserto, invano inseguiti dal nemico fino alla Tunisia.
Quando a Rommel viene annunciato lo sbarco di un corpo di spedizione di centomila americani in Algeria e in Marocco, capisce d'essere preso tra due fuochi e di non avere, né lui né l'Afrika Korps, più alcuno scampo. Si tratta soltanto di contare i giorni che mancano alla fine.
Gli aiuti sempre richiesti, Hitler li invierà in Tunisia, quando ormai era troppo tardi.
L'occupazione della Tunisia influì ben poco sulle successive sorti generali del conflitto.
William Shirer nella Storia del Terzo Reich scriverà: " Se il Fuhrer avesse mandato qualche mese prima soltanto un quinto di quelle truppe e di quei carri armati a Rommel, probabilmente la "volpe del deserto" in quel momento si sarebbe trovata al di là del Nilo, lo sbarco angloamericano nell'Africa del Nord non avrebbe avuto luogo e il Mediterraneo sarebbe stato irrimediabilmente perduto per gli alleati, e così sarebbe stato salvaguardato il punto vulnerabile del corpo dell'Asse"
Altrettanto gravisswimo errore di Mussolini: se avesse mandato in Africa invece che in Russia soltanto un quinto delle truppe dell'ARMIR, in una sera di novembre avrebbe cenato al Cairo.
Gli ultimi a cedere ad El Alamein furono i paracadutisti della "Folgore, abbarbicati al terreno a sud, ai margini della depressione di El Qattara. Avevano di fronte quel 13mo Corpo d'armata che, secondo la versione inglese, doveva impegnarsi soltanto per dar vita a un falso scopo, mentre in realtà dovette combattere una delle più dure e logoranti battaglie locali di sfondamento dell'intero fronte. Quelli della Folgore resistettero per tredici giorni senza cedere un metro.
Erano partiti dall'Italia in cinquemila, erano rimasti, tra ufficiali e truppa, in trecentoquattro. Alla resa, ebbero l'onore delle armi e il nome della loro divisione restò da allora leggendario.
La BBC inglese a battaglia conclusa, l'11 novembre così commentò: " I "resti della divisione Folgore hanno resistito oltre ogni limite delle possibilità umane".
Così si concluse la battaglia di El Alamein, che provocò la morte di tredicimilacinquecento inglesi, di diciassettemila italiani e di novemila tedeschi. Fu una delle battaglie più decisive della seconda guerra mondiale, perché mise fine alla minaccia italo-tedesca sul Canale di Suez, consentì il dominio assoluto del Mediterraneo agli inglesi, cancellò dallo scacchiere un intero fronte e, in prospettiva, aprì la strada al secondo fronte, ossia allo sbarco in Sicilia destinato a riportare gli alleati in Europa.
Devo andarci prima di morire, fosse anche l'ultima cosa che farò! Mi porterò dietro il mio basco col fregio che ha come pulce un "5"... 5 come 5° Btg. El Alamein in Siena. E starò li, ad ascoltare i miei eroi, perchè solo tra noi riusciamo a parlarci al di la del tempo.
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